Edilizia in crisi, la marcia dei cappelli di carta «Tornino attivi i piccoli e medi cantieri»

«La politica non ci ascolta, Sant’Agata sì». Una gru in legno, bardata come fosse una candelora, ondeggia per via Etnea. Ma non si tratta di uno spettacolo legato alla festa della santuzza, è l’ultimo grido degli operai edili di Catania e provincia che hanno sfilato per via Etnea ieri nel tardo pomeriggio indossando la loro divisa, il cappello di carta. Una manifestazione indetta da Cgil, Cisl, Uil e dalle organizzazioni dei lavoratori edili Fillea, Filca e Feneal per attirare l’attenzione delle istituzioni sul grave momento che vive il comparto.

I rappresentanti sindacali hanno consegnato al prefetto Maria Guia Federico un dossier contenente la lista delle opere bloccate e nelle quali la forza-lavoro etnea potrebbe essere impegnata e hanno chiesto di intervenire laddove le lungaggini burocratiche stanno mettendo un freno alle imprese coinvolte, a cominciare dal piano regolatore catanese. Ma il problema, sostengono i vertici delle sigle sindacali, non sono solo le eterne incompiute. «Chiediamo che tornino attivi i piccoli e medi cantieri», spiega Piero Pisano della Cisl, prima di urlare quasi come un mantra le parole «lavoro, lavoro, lavoro».

Eppure tra il centinaio di uomini – molti anche avanti con l’età – è la sensazione di sfiducia a dominare. Anche nei confronti dei propri rappresentanti sindacali: «Ho la tessera da 37 anni. È sindacato questo?», chiede un uomo di mezza età, mani e volto segnati da rughe piccole ma profonde. Chi gli sta vicino non gli risponde né non lo contraddice. «Il sindacato ormai non lo sente più nessuno», gli fa eco Arturo. Lui ha conosciuto i tempi migliori del settore, ma adesso, afferma, «l’edilizia a Catania è morta. Non c’è lavoro, non c’è più nessuno. Dove sono le ditte?». Sono in pochi quelli che riescono ancora a ottenere un ingaggio, e non si tratta mai di contratti a lungo termine. «Chi ha la fortuna di lavorare, alterna con la cassa integrazione. Lavoriamo, stiamo fermi due settimane, riprendiamo. E ovviamente non prendiamo uno stipendio intero», chiarisce. «I piccoli e medi cantieri sono chiusi. Parlando con i colleghi e con gli amici le notizie si sanno, sono quelle: non sta lavorando nessuno. E gli ammortizzatori sociali stanno per finire».

«Da quanto tempo lavoriamo? Da quanto tempo siamo disoccupati, vorrai dire!». Tra i volti dei colleghi più maturi spiccano quelli di un gruppetto di giovani operai. Bandiere alla mano, camminano anche loro nel corteo improvvisato che per lunghi minuti blocca i quattro canti. «Siamo disoccupati da un anno e mezzo, lavoravamo a Bronte», spiegano quasi a una sola voce Salvo e Massimo di 32 e 27 anni. «Si lavora, ma non ci sono soldi», afferma il primo. «Meglio se non si lavora, allora», ribatte ridendo un loro amico. «Siamo nelle mani del Signore», conclude quasi rassegnato Arturo. Dietro di lui, sull’asfalto bagnato dalla pioggia, rimane un cappello di carta accartocciato.


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