Il Parco archeologico incassa 130mila euro La Regione intasca e non restituisce nulla

Catania è la città italiana con più testimonianze di epoca romana. Seconda solo a Roma. Un primato – insieme a quello di essere l’unico parco urbano siciliano – che negli anni è rimasto impigliato nelle maglie politiche della Regione Siciliana e nella lotta mai sopita per il potere tra il capoluogo etneo e Palermo. Il simbolo è la mancata istituzione ufficiale del Parco archeologico greco-romano di Catania, annunciata, poi ritirata e di nuovo attesa nel corso negli anni. Così oggi il parco-museo cittadino non è ancora un ente autonomo e trasferisce il cento per cento delle sue entrate all’erario regionale. Ricevendo in cambio gli spicci per gestire la maggior parte dei beni archeologici etnei. Un problema politico a cui se ne accosta uno culturale: «Non esiste nei catanesi la consapevolezza di essere una città archeologica», spiega Maria Grazia Branciforti, direttore dell’istituendo Parco. Che in questa video-intervista a CTzen racconta l’organizzazione della struttura e le sue attività, insieme a un’analisi del flusso dei visitatori – più stranieri che catanesi – e delle possibilità future.

A fronte di 130mila euro di ricavi, solo nell’ultimo anno, dai biglietti dei turisti, il Parco aspetta ancora di percepire i fondi per il 2014, bloccati dall’impugnazione a gennaio della finanziaria regionale da parte del commissario dello Stato Carmelo Aronica. Nel 2010, anno della sua creazione, il museo ha ricevuto dalla Regione Sicilia diecimila euro. Scesi a tremila nel 2011 e ridotti a 500 euro lo scorso anno. Una paghetta insufficiente persino per cambiare le particolati lampadine necessarie a illuminare l’interno dei beni. Per non parlare delle pulizie degli ambienti e dei bagni. Per lo stesso motivo, i telefoni degli uffici funzionano solo per ricevere le chiamate, ma non per effettuarle. Il collegamento a Internet, mai previsto come allaccio stabile, avviene attraverso una chiavetta della Regione e alcune personali dei dipendenti. Un ufficio ecosostenibile, considerata l’assenza di carta per stampare i documenti, se non quella riciclata e con una facciata ancora bianca. Se serve un foglio pulito, i lavoratori fanno colletta per comprare una nuova risma. Problemi ordinari che diventano guai nel caso della manutenzione straordinaria. Come quando qualcuno si porta a casa un pezzo di ringhiera delle terme dell’Indirizzo o rompe un vetro per rubare i computer degli uffici delle terme della Rotonda. In questi casi, è necessario inoltrare alla Regione un’apposita richiesta e attendere i tempi della burocrazia.

E non va meglio dal punto di vista del personale. Il costituendo Parco archeologico etneo può contare su 29 custodi: nove dipendenti regionali di ruolo e i restanti assunti da una società partecipata regionale, di cui alcuni con contratti part time. Un numero irrisorio rispetto ai 180 custodi di Selinunte e ai 40 di Centuripe, frutto dell’assenza di bandi dalla fine degli anni ’80 e delle continue richieste di trasferimento vicino casa da parte del personale. Evidentemente non etneo. Un numero già insufficiente che deve dividersi tra turni e riposi per assicurare la custodia 24 ore su 24 non solo nelle sedi del Parco, ma anche nelle altre sedi culturali della Regione. Con un accumulo di straordinari non pagati che, nei mesi, ha generato malcontento e una sempre minore disponibilità da parte dei dipendenti. Così, se un turista arriva a Catania e ha voglia di visitare un bene meno noto, dovrà prima prenotare o chiamare il Parco e attendere che arrivi un custode inviato appositamente. Fatta eccezione per le aree archeologiche in cui è stata avviata una collaborazione con delle associazioni locali di volontari come Etna ‘ngeniousa.

Problemi facilmente risolvibili con l’autonomia giuridica – e soprattutto finanziaria – dell’ente, che potrebbe così disporre autonomamente delle sue risorse. Ma è qui che la logica si scontra con la politica. Nel 2000, con una legge regionale, la Regione siciliana istituisce il Sistema dei Parchi Archeologici Regionali: 16 aree per altrettanti enti, ma nessuno nel Catanese. Nel 2010 le cose cambiano e per volontà dell’ex sovrintendente etneo Gesualdo Campo – in un governo retto dal governatore Raffaele Lombardo – viene istituito il Servizio Parco archeologico greco romano di Catania e delle aree archeologiche dei comuni limitrofi. Un passo verso l’autonomia, subito bloccato dall’insediamento del nuovo governatore Rosario Crocetta, che a febbraio 2013 intende cancellare tutti i quattro enti del Catanese. Solo il parco cittadino riesce a salvarsi e si inizia a pensare di inserirlo nel circuito regionale. Un’idea che da un anno attende di essere concretizzata.

Un passo avanti si ha alla fine di gennaio, quando l’allora assessore regionale Maria Rita Sgarlata individua con un apposito decreto l’area del costituendo parco archeologico greco-romano di Catania: un’area A con 58 siti e un’area B di rispetto. In attesa di un ulteriore decreto per l’istituzione ufficiale di un comitato tecnico-scientifico: nominato dall’assessore regionale ai Beni culturali, presieduto dal soprintendente etneo e con il direttore del parco o un suo funzionario delegato nel ruolo di segretario. Uno strumento senza il quale l’evoluzione dell’ente resterebbe a metà: con un regno ben definito, ma senza poteri e autonomia per governarlo. Eppure il passaggio rischia di farsi attendere ancora a lungo, complice il cambiamento al vertice dell’assessorato, solo annusato dal catanese Antonio Fiumefreddo nel rimpasto voluto da Crocetta e, dopo la rinuncia dell’assessore-lampo, assegnato alla messinese Pina Furnari. Un cambiamento che accompagna quello del ruolo di dirigente generale dei Beni culturali regionali, da Sergio Gelardi a Salvatore Giglione, cugino del deputato agrigentino Michele Cimino, passato da Forza Italia a Il Megafono di Crocetta.

[Foto di Maria Grazia Fontana]


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