Il Catania, il nuovo ct e l’ittiologia rossazzurra Le colpe della società nel post-retrocessione

Il pesce, mi dicevo quest’oggi andando verso lo stadio, puzza dalla testa. E lo dicevo sperando – in realtà, contro le mie stesse convinzioni – che il cambio di allenatore avvenuto in settimana ci portasse almeno un soffio di novità. Non mi attendevo, certo, che bastasse a rivoltare la squadra come un guanto. Ma che almeno ci facesse respirare un’aria nuova, più fresca. A darci il senso di uno scatto verso l’alto. Dopo un anno e passa d’inarrestabile caduta verticale.

Anche perché, del nuovo tecnico, Giuseppe Sannino, io non ho avuto una cattiva impressione. Non sarà un condottiero di epiche conquiste, ma è uno che ha lasciato un buon ricordo dovunque ha lavorato. E in più, si è presentato con un programma pressoché rivoluzionario: quello di far giocare i giocatori, e non i nomi più o meno altisonanti che alcuni di essi hanno scritti sulla maglia. Nomi che spesso servono, in serie B, a rendere le brutte figure ancora più umilianti.

Senonché oggi Sannino si è visto costretto a rinviare ogni rivoluzione. E a cominciare la partita col Modena schierando nell’undici iniziale un giocatore di nome Leto: ovvero un signore sceso a Catania con credenziali da centrocampista sopraffino capace, all’occorrenza, di trasformarsi in temibile puntero. E rivelatosi invece, fino a oggi, nulla più che un calciatore di borracce.

La colpa, però, non è di Sannino. Il quale si è trovato a dover cucinare la zuppa con gli avanzi che c’erano in ghiacciaia. E che dunque, per sopperire alla morìa di centrocampisti che ha colpito la squadra, ha dovuto non solo arretrare il generoso Rosina, ma anche adattare a una posizione più guardinga l’assai più offensivo Martinho. Col risultato di sguarnire l’attacco, lasciando praticamente solo il povero Calaiò. Perché Leto, come s’è detto, non conta. Il risultato è uno zero a zero piuttosto squallido, in casa, contro il Modena. E il penultimo posto in classifica, con due punti in quattro partite, e con dietro di noi solo una squadra che si chiama Entella. Il fatto che, con un arbitro decente, ci avrebbero fischiato perlomeno un rigore a favore, non cambia di molto la sostanza delle cose. Il pesce puzza. E la testa non è quella dell’allenatore.

I problemi di infermeria possono anche essere, non lo nego, questione di malasorte. Possono esserlo, perlomeno, per quanto riguarda l’infortunio di Rinaudo, che s’è acciaccato sabato scorso poco prima della gara di Perugia, e che potrebbe restar fuori per qualche altra settimana. Ma di che malasorte andiamo parlando, per dirne una, per spiegare la prolungata assenza di Almiron? Questo giocatore è quasi sempre in ferie – per giustificati motivi di salute, ci mancherebbe – più o meno da due anni a questa parte. Eppure la società ha sempre continuato a sbandierarlo tra i punti di forza della rosa, e tra le prove a suffragio della sua completezza. Già: la rosa è talmente completa che oggi Sannino ha dovuto schierare, a centrocampo, perfino un rude terzinaccio come Capuano. Collocandolo davanti alla difesa, più o meno nella posizione in cui l’anno scorso giocava Lodi. Non so se mi spiego.

Da Sannino, nondimeno, io qualcosa di buono continuo ad aspettarmela. Ma potremmo parlarne solo tra qualche settimana, sempre che tutto vada per il meglio. È dalla società che, in verità, ho smesso da un bel pezzo di aspettarmi qualcosa. Una società in cui non si sa se il presidente abbia ancora voce in capitolo, o se decida tutto il suo plenipotenziario Cosentino. In cui tutti i poteri sono stati dati a un dirigente che, l’anno scorso, è stato uno degli artefici della retrocessione. In cui si vendono i gioielli ma non si comprano nemmeno le assi per riparare il tetto sfondato. E in cui, da un anno almeno a questa parte, non è molto chiaro se gli interessi dell’azienda coincidano davvero con quelli dei tifosi.

I quali tifosi, ricordiamolo, da questa società hanno comprato una speranza a scatola chiusa. Sottoscrivendo più di diecimila abbonamenti all’indomani di una retrocessione. E rischiando di dar ragione a un altro adagio della sapienza ittiologica catanese: quello secondo cui cu pava prima mangia pisci fitusu: chi paga in anticipo – traduco in favore dei non siculofoni – difficilmente porterà a casa pesce appena pescato.

Io in Sannino, ripeto, ho la massima fiducia. Ma il Maalox, per prudenza, me lo tengo sul comodino.

Leggi il post dal blog La pelota no se mancha.


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