Les amants réguliers

Quest’anno la giuria della 62ª edizione della mostra del cinema di Venezia ha deciso di assegnare il Leone d’argento al regista francese Philippe Garrel, già premiato a Venezia nel 1991 per il lungometraggio J’entends plus la guitare.

Figlio del ’68 e della Nouvelle vague, Garrel si è presentato alla mostra con un film dal respiro rivoluzionario, Les amants réguliers. Ed è proprio quella della Nouvelle vague l’atmosfera che si respira guardando l’ultima fatica del non convenzionale regista francese, il quale annovera tra i suoi maestri cineasti della statura di François Truffaut, Jacques Rivette, Jean-Luc Godard. Lo stesso Garrel non nasconde la loro influenza all’interno della sua produzione, e in particolare in alcune scene di Les amants réguliers.

Il film, una struggente storia d’amore tra due ventenni parigini ambientata negli anni della rivoluzione culturale, presenta quasi tutte le tematiche ricorrenti nel cinema di Garrel, prima fra tutte il costante senso della perdita, che percorre, sotteraneamente, ogni scena del film, fino ad esplodere nella scena finale, nel tragico epilogo che suggellerà le vicende dei due protagonisti (intepretati da Clotilde Hesme e da Louis Garrel). Ma è l’amore, soprattutto quello di coppia, ad essere, con poche eccezioni, al centro dei film di Garrel: l’amour perdu e il suo inseguimento, con tutte le difficoltà che questo comporta.

Garrel scandaglia l’animo umano. La sua è una poetica del visivo: le immagini sono caratterizzate da una sorta di velamento, di significazione non chiara, laddove lo spettatore è chiamato non tanto ad interpretare, quanto ad accogliere quelle che sono le zone non nitide dell’esperienza umana, i momenti di non-trasparenza della vita, attraverso la loro esposizione sullo schermo. Le immagini risultano precarie, come minacciate da un destino cui non è dato loro sottrarsi. Effetto, questo, ottenuto mediante uno degli espedienti più originali che la storia del cinema possa vantare, ossia l’uso di pellicole scadute o deteriorate, di sovraesposizioni e sottoesposizioni, tramite cui rendere omaggio al cinema delle origini (e che ricorda il cinema “primitivo” di Warhol), ma soprattutto attraverso cui mettere in luce l’inaffidabilità della materia, la sua provvisorietà, la sua capacità di privarci delle immagini.

Les amants réguliers è da ricondurre, tuttavia, a quella fase del cinema garreliano caratterizzata da una maggiore enfasi sulla componente narrativa del film, dopo l’intensa fase di sperimentazione linguistica risalente al cosiddetto “periodo underground” e in particolare all’incontro con Nico (poi sua musa e compagna) e dunque all’influenza della factory di Andy Warhol. In questa seconda fase, segnata dalla fine della relazione con Nico, il cinema di Garrel si fa fortemente autobiografico e pone l’accento sui temi della memoria e del ritorno, dello sguardo al passato, un passato che non va dimenticato, un passato che il deteriorarsi della materia non può e non deve trascinare via con sé.

Così si spiega il ritorno ad un tema abusato e tuttavia ancora vivo come quello del ’68, un tema che, a parere del regista, è andato incontro ad una serie di falsi miti e di fraintendimenti, ma che, al contempo, occupa sempre meno spazio nella mente dei giovani e che pertanto rischia di essere obliato. Balza subito alla mente il paragone con I sognatori di Bernardo Bertolucci, più volte citato nel film di Garrel, il quale sembrerebbe voler costituire una sorta di replica nei confronti del primo. A ben vedere, si potrebbe pensare a Les amants réguliers come all’opposto formale del film di Bertolucci, e per quel che riguarda il taglio dato al tema della rivoluzione, e per quel che riguarda le immagini alle quali è affidata l’espressione del modo in cui i protagonisti vivono quelle vicende. All’erotismo bertolucciano si contrappone il candore dei sentimenti, la pudicizia delle immagini, il dolore della perdita: la perdita dell’amore.

L’universo cinematografico di Garrel è intriso di tenerezza, di un senso di intimità estrema, poche volte conosciuta per mezzo di altri registi, e quasi imbarazzante per lo spettatore, che si ritrova coinvolto nell’immediatezza di un momento, nella privatezza di un incontro, nell’istantaneità di un gesto o di una parola, nell’avvicendarsi di lunghe attese e rumorosi silenzi, o di pacate conversazioni tra amici ed amanti.

Supportato da una splendida fotografia in bianco e nero (ennesimo omaggio alle radici del regista), che apporta al film, già intriso di poesia, un ulteriore dose di lirismo, Les amants réguliers è diviso in tre parti, comprensive di titoli didascalici che ne compongono il senso. Una sorta di mosaico di un’epoca e di un amore.
Nella prima parte il regista ci mostra, con occhio freddo e distaccato e in totale assenza di parole, gli scontri tra manifestanti e polizia nella Parigi sessantottina, sottolineandone, quasi come in un momento di cinema-verità, la crudezza e la violenza.

Ma il film non vuole essere un documentario. La seconda parte della storia, per lo più girata in interni, è ambientata nel 1969: i protagonisti sono gli stessi, ma essi, ormai disincantati, trascorrono le loro giornate cullati dall’oppio, nella splendida ma trascurata abitazione di un ricco studente, fra arte e poesia, intrecci amorosi e discussioni politiche. Qui si inserisce la figura di François, giovane poeta e rivoluzionario, affascinante e vulnerabile, ma lontano dagli eccessi. E’ in questo contesto, e in quello di una Parigi scabra ed essenziale, che ha inizio l’amour fou che lo porterà alla distruzione.

Ottime le prove degli attori, in particolare quella di Louis Garrel (già “sognatore” per Bertolucci), con la sua interpretazione sobria ed essenziale, ma sempre estremamente espressiva ed originale.
In un cinema sempre più orientato verso la digitalizzazione dell’immagine e la messa in scena di eventi fuori dall’ordinario, l’adozione di un simile purismo stilistico e la scelta di fatti tanto noti all’animo umano, quasi stranizzano e disorientano.
Quello di Garrel, oggi, è un cinema contemplativo, in cui la riflessione s’intreccia al sentimento, in una sorta di sublime dinamico dai cui effetti è difficile liberarsi.


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