A Laura

E’ la prima volta che la morte si affaccia seriamente nella mia vita. Quando persi mio padre ero troppo piccolo per averne un nitido ricordo nella testa e nel cuore. Avevo qualche anno in più di Ivan, il bambolotto più piccolo di Angelo e Laura, un cofanetto con gli occhi azzurri come quelli del padre.

«Il ricordo più bello dell’impresa sull’Everest?», mi disse un giorno Angelo: «Il sorriso di Ivan all’aeroporto quando sono tornato». Ci siamo conosciuti perché io volevo scrivere un libro sulle sue avventure. L’inizio non fu dei più promettenti.
«Due minuti e sloggi…», disse facendomi accomodare nel salotto di casa sua, tra una penna di volatile, pezzi di deltaplano e tute sparse qua e là. Ma diventammo grandi amici. Non so neanche io come e perché. Certo, non perché stavo scrivendo la sua storia. Non era personaggio da vendersi, certamente no.
Correva l’anno 2002 quando ho iniziato a seguire l’aquilone etneo nei cieli siciliani. Lui veniva a prendermi con la sua monovolume, con le aquile Ciumi e Gea aqquillaiate nel trespolo posteriore della vettura. Che ridere i benzinai che saltavano in aria quando improvvisamente, con la loro tipica aria annoiata e distratta, e con il solito sguardo dentro il finestrino, si accorgevano di essere fissati da due rapaci!

E così si passeggiava per i campi di grano dell’entroterra siciliano, le famigerate montagne verdi. Uno dei nostri posti preferiti era il cocuzzolo di Monte Scalpello, Sicilia centrale, ruderi di una chiesetta in cima. Si arrivava tra gheppi appesi in aria a fiutare cibo e pecorai che ci salutavano (o meglio: salutavano Angelo).
Poi si posteggiava e l’Icaro franco-siciliano montava sul deltaplano e incominciava il meraviglioso volo della Famiglia dei Cieli. «Ciumi, Gea. Avanti andiamoooo!». E si divertivano da matti. Si toccavano, viravano, picchiavano… In una parola: giocavano nei cieli. E io scrivevo e sognavo, esattamente come tutti quelli che hanno conosciuto anche solo mezza volta Angelo.

Parlavamo di tutto io e lui. Di uccelli, di falconieri, di viaggi, di noi e delle nostre famiglie. Un’intimità e una reciproca stima si era creata, complice anche quel meraviglioso collante che sembra essere il mondo della Natura. Angelo era una persona deliziosa. Era una bella persona. Era sincero e generosissimo. Era solare e in possesso di quel misterioso alone d’energia che non lo rendeva mai banale.
Quando è ritornato dall’Everest ci siamo fatti una gran bevuta e una gran chiacchierata in un pub di Catania. Un giorno mi disse: «Vuoi vederlo il mondo verticale?» «Cos’è il mondo verticale, Angelo?». E mi ritrovai dietro un motorino volante nei cieli di Fiumefreddo e Letojanni. E poi ricordo ancora quando, nella cima di Gallodoro, mi disse: «Ok . Io mi sto lanciando. Scendile tu le aquile. Qua ci sono le chiavi della macchina». Quante sigarette mi sono potuto fumare in quei venti minuti al volante…

L’ultima volta che l’ho visto è stato alle Ciminiere di Catania, in occasione della presentazione del mio libro su lui e le aquile. Ci siamo dati un grande abbraccio all’inizio e poi, dopo la conferenza, una folla di gente lo ha letteralmente assalito di domande, strette di mano e baci. Non l’ho potuto neanche salutare.
In tutto il mondo era adorato, questo tizio che dello spirito di avventura era l’Icona. Donne, uomini e bambini venivano calamitati dalla sua dolcissima personalità. La sua avventura comincia nel 2001, quando aveva sorvolato il Sahara in compagnia di Nike, la sua prima figlia aquila. L’anno successivo questo Konrad Lorenz dell’aria aveva adottato delle Gru Siberiane che non riuscivano più a migrare perché avevano perso la rotta. E lui gliela ha ridisegnata: dalla Siberia all’Iran, 5.300 km in volo per accompagnare questa nuova numerosa prole.

Lui col deltaplano e loro con le ali: «Sai che faccia ho fatto quando un orso polare si è presentato in piena notte dove eravamo accampati con le gru? Ho detto: questo se le mangia tutte. Per fortuna si è accontentato dei resti del mio pasto».
Avventura e avventura e avventura… Questi erano i suoi fantastici racconti durante le nostre passeggiate siciliane. E il senso dell’umorismo non gli mancava mai. La prima volta che mi presentò le sue aquile mi disse: «Speriamo che tu gli faccia simpatia, altrimenti la ricorderai come una pessima giornata».
«Mio padre voleva che facessi il medico. Io già volavo col deltaplano e lui non ne sapeva niente. Poi un giorno l’ho portato davanti al fatto compiuto». Nel 2003 si è portato Ciumi e Gea, altre due aquile, sull’Everest dove lui ha volato fino a 9.000 metri d’altezza con un deltaplano senza motore e in condizioni proibitive. Ricordo ancora la telefonata di Laura mentre ero in fila nella caotica Catania: «Ce l’ha fatta», mi urlò di gioia la moglie.

E tutto il mondo esultava con l’uomo volante. L’uomo che aveva messo in condizioni di volare anche un disegno di Leonardi da Vinci, il primo deltaplano della storia, Piuma.
Mentre scrivo, ho azionato il registratorino portatile che ha memorizzato centinaia di ore insieme con lui. E’ dura, ma lo faccio parlare. «Cosa significa per te volare?». «Tutta la mia vita», mi rispose abbracciandomi con il suo straordinario sorriso.

Ho saputo della tragica notizia al sole di Acireale. Ho pianto dal dolore, ho abbracciato mia moglie e da quel momento in poi ho iniziato a pensare a Laura, Gabriele, Ivan e Gioele. Ma soprattutto a Laura.
Anche ora che sto scrivendo sto pensando solo a lei. Io, cara moglie e mamma, ti voglio abbracciare con tutto l’amore del mondo. I tuoi figli saranno il ricordo che Angelo ti ha lasciato. Perché come diceva lui stesso «la terra vista dall’alto è molto più bella di quella che è».

[Giovanni Vallone ha seguito Angelo D’Arrigo in diverse occasioni e ha scritto il libro “Angelo e le Aquile”  edito da Cavallotto – 2004]


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