Lavoro, la giungla degli stipendi per la generazione ‘Under 30’

Antiche e nuove disparità affliggono e rendono difficili i destini dei giovani. La generazione degli “under 30”, o quella costellazione di tante piccole generazioni, sta sperimentando malvolentieri sulla propria pelle squilibri che non scompaiono e mettendosi alla prova con nuove tensioni. C’è il problema del divario tra il Nord e il Sud che continua a crescere. C’è la disparità tra chi ha un contratto a tempo indeterminato e chi invece il contatto ce l’ha a termine.
Se si vede come sono cambiate le retribuzioni negli ultimi cinque anni, ci si accorge che a perdere di più, tra gli under 30, sono i laureati. Seppure anche i diplomati sono finiti stretti in percorsi professionali difficili e con un retribuzione poco soddisfacente.

Tra i giovani usciti dalle università, i più penalizzati sembrano essere stati i “fratelli maggiori”. Quelli che in azienda sono entrati già da qualche anno. Quelli con un’esperienza di tre, quattro o cinque anni. Tra il 2001 e il 2005, i laureati con 3-5 anni di esperienza – dati ODM – hanno uno stipendio più basso anche in termini nominali di quanto non fosse nel 2001: sono passati da una busta paga di 26 mila e 803 euro del 2001 a 25 mila e 473 del 2005. In termini reali hanno perso quasi il 15 per cento.

Nell’ultimo anno “sono andati meglio – ci ha detto Paolo Citterio presidente di Gipd, l’Associazione direttori risorse umane – quelli che sono entrati nelle imprese farmaceutiche, chimiche e della tecnologia. Perché qui il costo del lavoro è quello che incide meno. In queste imprese un neolaureato entra in media con uno stipendio di 23 mila e 770 euro. Dopo un anno la retribuzione diventa di 25 mila e 200 euro e dopo tre arriva a 30 mila e 800 euro”.

Ad ogni modo resta che l’evoluzione generale non è stata delle migliori. Con alcuni elementi che sembrano acuire la polarizzazione Nord-Sud sia in termini di retribuzioni che di opportunità. Gli “under 30” laureati con 3-5 anni di esperienza del Sud e delle Isole hanno perduto il 22,5% in cinque anni mentre quelli del Nord hanno visto scendere le proprie retribuzioni del 9,7 per cento.

I più giovani, i fratelli e le sorelle minori, quelli che sono appena entrati in azienda, sono andati un poco meglio. Nel Nord Est nel 2005 hanno avuto una retribuzione di 22 mila euro. Peggiori le performance di quelli del Nord Ovest, del Centro e del Sud tutti rimasti pressoché con stipendi pressoché inalterati rispetto a quelli del 2001.
Quanto alle opportunità di impiego per i laureati – dati Unioncamere – al Sud nel 2005 solo il 5,6 per cento delle assunzioni è destinata a chi esce dalle università mente la media nazionale è dell’8,8% e nel Nord Ovest si arriva all’11,6%. Senza contare che negli ultimi due anni si è esaurita la rincorsa dell’occupazione del Mezzogiorno lasciando quasi inalterati i tassi di occupazione giovanile intorno al 50%.
Più ampiamente si propone il problema del fatto che nelle aziende non esistono così tanti percorsi aziendali in numero tale da soddisfare le “attese” di tutti i laureati. “Non ci sono opportunità per tutti i laureati. – dice Andrea Panzeri di OD&M Consulting – quindi la loro collocazione non è all’altezza presunta del titolo di studio che hanno ma è all’altezza dell’esigenza professionale di ruolo che l’azienda deve di coprire. In alcuni casi siamo davanti a mansioni non particolarmente complesse.”
Se si guarda più in dettaglio e si cerca di scoprire cosa succede nelle singole città ci si accorge che sono proprio le due città-calamita a dare maggiori dispiaceri ai laureati con 3-5 anni di esperienza. In cinque anni a Milano c’è stato un calo del 13,4% mentre a Roma è stato pari al 13 per cento. Male anche Torino (-12,3%) e Firenze   (-10,4%).

Quanto ai più giovani – quelli con uno o due anni di esperienza di lavoro – male sono andati quelli di Roma che hanno visto ridurre quasi del 10% lo stipendio in termini reali: passati da 22.801 euro nel 2001 a 22.745 euro nel 2005. Dopo di loro i giovani laureati di Bologna (-9,2%), Firenze (-9,2%), Milano (-8,9) e Catania (-8,6).
Quanto alla “scadenza” del contratto, a Milano nel 2005 – secondo i dati pubblicati dall’Osservatorio del Mercato del Lavoro della Provincia di Milano nel rapporto “Il lavoro difficile” – i contratti a tempo indeterminato sono calati del 6,5% mentre sono state quasi 100 mila le persone che hanno lavorato con contratti a tempo determinato. Con una durata sempre più bassa: nel 2005 è stata di 53,2 giorni mentre era stata di 82,3 giorni solo l’anno prima. Se si guarda al lavoro dipendente quello di Milano sembra un mercato del lavoro senza giovani. Nel 2005 meno dell’1% degli avviamenti ha riguardato giovani con meno di 24 anni. “Sono spariti i giovani dal lavoro dipendente – ci ha detto Livio Loverso dell’Osservatorio del Mercato del Lavoro della Provincia di Milano – e questo può essere dovuto al calo dell’interinale e all’utilizzo massiccio da parte delle imprese di lavoro informale, di tirocini, delle borse-lavoro. Visto che per completare gli studi i ragazzi devono fare dei tirocini, le imprese hanno cominciato a inserire tirocinanti senza aprire dei contratti di lavoro veri e propri”.

A Roma allo stesso tempo gli occupati con meno di 35 anni sono calati di 25 mila unità e i contratti di tipo atipico superano il 60% tanto che l’assessore regionale Tibaldi ha promesso di convocare tra giugno e luglio un consiglio straordinario per i precari. E’ nelle città che si concentrano le funzioni più dinamiche della nuova economia. Ed è sempre nelle città che avvengono le maggiori trasformazioni e si acuiscono le differenze. Spesso, come suggerisce il sociologo Zygmut Barman, è nelle città che si sedimentano quei residui problematici dalla globalizzazione e i cittadini, e le autorità locali, devono riuscire a convivervi e trovare soluzioni locali a fenomeni che sono invece di ben altra dimensione.

[Leggi l’articolo sul sito di La Repubblica pubblicato il 20 aprile 2006] 


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