Catania: l’università e la città

Catania e l’Università: un rapporto che dura da sei secoli con fasi alterne. Un rapporto che si è fatto pietre e muri e spazi, che ha con-formato la città almeno dalla ricostruzione post 1693. In quella occasione l’Almo Studio fu una delle istituzioni civili che contribuì a definire la morfologia urbana di quella che G. Dato ha definito la «città egemonica» con la previsione di una delle piazze principali davanti alla Casa degli Studi con lo scopo di farne un elemento che concorresse alla nuova dimensione civica che si volle dare con la ricostruzione. Non a caso su piazza Università si affacciano oltre alla sede dell’Ateneo, il palazzo del Senato e i palazzi di due delle famiglie più importanti: i Paternò di Sangiuliano e i Gioeni.

La crescita dell’Università accompagna la crescita della città e del suo ruolo ancora una volta anche dal punto di vista fisico. A cavallo dell’Unità d’Italia viene realizzato l’Orto botanico a nord del quartiere Borgo, non distante dall’apice della via Etnea, il tondo Gioieni. Esso ha al suo interno anche delle serre realizzate da esperti giunti espressamente da Parigi. Qualche decennio dopo viene realizzato, su un’area marginale dell’orto dei Benedettini, l’istituto di anatomia, successivamente noto come palazzo Ingrassia.

Tra le due guerre vengono realizzati il “quartiere scientifico” di via Androne, tra le lottizzazioni tardo ottocentesche a ovest del giardino Bellini e piazza S. Maria di Gesù, e Palazzo delle Scienze lungo quell’asse dei Viali che il piano di Gentile del 1888 aveva voluto come nuovo decumano della città, meritevole di «un grande avvenire». Si tratta di due interventi di grande rilevanza, che, tuttavia, incidono in maniera del tutto irrisoria sulla forma della città. Chiusi all’interno della ferrea logica dell’ampliamento a scacchiera, in entrambi i casi essi occupano lotti definiti dalla griglia di strade in modo del tutto anonimo nel caso di via Androne e delegando per intero la rappresentatività alla composizione del prospetto principale, nel caso di palazzo delle Scienze. E’ il tracciato a determinare una morfologia urbana quasi del tutto priva di gerarchie, in cui la residenza e la risposta ad una crescente domanda di terreni edificabili costituiscono scopo e oggetto dell’ampliamento. Essa rimane sostanzialmente confermata fino alla fine degli anni Cinquanta dai Regolamenti edilizi successivi e dal Programma di Fabbricazione del 1935 che non avanzava alcuna proposta per un servizio territoriale di tale importanza.

La successiva fase vede il rapporto tra l’istituzione universitaria e la città incardinarsi attorno alla figura di Luigi Piccinato che era autore della proposta vincitrice del concorso per il PRG del 1931 mai approvato e lo sarebbe diventato di quello del 1964-69, ancora vigente. Mentre la Facoltà di Giurisprudenza veniva spostata dal Palazzo Centrale a Villa Cerami con il contrastato ampliamento progettato da Francesco Basile e Salvatore Boscarino, Piccinato suggeriva all’Università di utilizzare la collina di S. Sofia acquistata qualche anno prima per volere del Rettore Cesare Sanfilippo allo scopo di realizzarvi la Città Universitaria per le facoltà scientifiche e il Policlinico secondo il modello dei campus anglosassoni. Ancora una volta la scelta è coerente con le dinamiche della crescita urbana e, ancora una volta, l’intervento, se da un lato costituisce un magnete territoriale di grande rilevanza, dall’altro, in perfetta coerenza con la cultura urbanistica dell’epoca, si costituisce come enclave della cultura, che non dialoga con la città se non per le relazioni infrastrutturali, ad essa impermeabile.

Appare chiaro come sia costante in questa successione di interventi la sola preoccupazione fondiaria, la ricerca di aree da destinare all’edilizia universitaria, e come sia marginale, se non assente, la riflessione sul ruolo che le strutture di formazione superiore possono avere nella definizione dello spazio urbano e nella affermazione di politiche urbane di valorizzazione dell’esistente. Unica scelta fortunatamente incoerente rispetto a questa linea è quella che conduce, nel 1975, il Comune alla decisione di cedere l’ex convento dei Benedettini all’Università «per restituire agli antichi fasti il convento» (cessione effettivamente avvenuta nel 1977) e il trasferimento della Facoltà di Lettere con l’obiettivo di costituire, nel cuore del centro storico, il polo umanistico dell’Università, la cui progettazione venne affidata a Giancarlo De Carlo.

Si tratta di una scelta strategica di cui a lungo non si è compreso a pieno l’effetto sulla città: fortemente danneggiato dalle trasformazioni del sistema commerciale con l’affermazione irresistibile degli ipermercati dentro l’area metropolitana, progressivamente ridotto il ruolo residenziale, il centro storico catanese si è affermato nell’ultimo scorcio del XX sec. come luogo dello svago serale (“non-luogo” ho avuto occasione di scrivere qualche anno fa), ma ciò è avvenuto senza alcuna strategia complessiva che promuovesse in esso funzioni pregiate, destinate a durare a fronte di funzioni, come quelle dell’intrattenimento, intrinsecamente “volatili”, che tendono cioè a dipendere da fattori aleatori, di “moda”. Una tale carenza di prospettiva da parte del Comune risulta ancora più evidente perché, contemporaneamente, l’Università si è proposta come perno centrale nel rilancio di un centro storico che oggi non appartiene più alla sola città di Catania, ma all’intera area metropolitana, offrendo proprio quella funzione pregiata che ai quartieri antichi era stata progressivamente sottratta e caratterizzando in tal modo la più recente fase del rapporto tra l’Ateneo e la sua città.

Eppure la città e i suoi abitanti sembrano avere sottovalutato il ruolo strategico he sta svolgendo l’Ateneo catanese per la riqualificazione del centro storico e della città consolidata. Uno dei motivi potrebbe essere ricercato in una non sufficiente promozione da parte della stessa Università degli interventi attuati. Ancora in un documento del’Ateneo datato gennaio 2003 e intitolato “Nota sugli insediamenti edilizi nell’ambito urbano”, il tema centrale è quello, assolutamente ineludibile, della infrastrutturazione legata agli insediamenti universitari, parcheggi e servizi pubblici innanzitutto, ma rimane non sufficientemente ribadito il ruolo trainante dell’istituzione rispetto alle dinamiche socio-economiche dell’area metropolitana e del centro storico in particolare anche se viene evidenziato il ruolo dell’Università come «fonte di qualificazione generale per l’intero tessuto urbano e una delle risorse più qualificanti per la crescita delle relazioni internazionali, per la produzione di ricchezza immateriale, per l’affermazione del ruolo della Città nel sistema economico e sociale contemporaneo». La richiesta di «uno strumento di governo del territorio che consenta lo sviluppo delle sedi e l’articolazione degli insediamenti, la residenzialità degli studenti e la facilità delle comunicazioni» come passaggio irrinunciabile per costruire «una Città dei saperi, una città consapevole e orgogliosa dell’apporto della presenza universitaria, sia sotto il profilo della qualità delle risorse mobilitate e degli obiettivi da raggiungere, sia sotto il profilo delle esigenze tecniche degli insediamenti», si rivela (e forse non poteva che essere così) troppo “neutrale” rispetto alle esigenze che i diversi poli indiscutibilmente presentano.

In questa città che tende a diventare metropoli, che dovrà continuare a giocare la sua partita oltre che sul campo di gioco regionale, su quello internazionale della competizione tra le piccole metropoli, l’Università ha svolto e continuerà a svolgere un ruolo centrale, contribuendo – come ha già fatto – a fare di Catania un Tecnopòlo di livello internazionale, con la conseguente attenzione al potenziamento delle facoltà scientifiche. Ciò non deve fare passare in secondo piano un obiettivo che è parimenti ineludibile: la riqualificazione dello spazio urbano storico come contributo decisivo al più generale processo di riqualificazione del cuore della città e dell’area metropolitana. La interconnessione tra le tre centralità del polo umanistico, di quello giuridico e di quello delle scienze politiche, tutte collocate nella parte centrale della città, e di queste con il quarto importantissimo polo delle funzioni rappresentative e amministrative che si sviluppano attorno all’area che va da piazza Università a via S. Giuliano, dovranno permeare e concorrere a determinare le scelte operate dal Comune non tanto e non solo nell’ambito degli strumenti di pianificazione e programmazione di lungo periodo, ma anche con interventi immediati soprattutto relativi alla mobilità, allo stazionamento e alla residenzialità studentesca, utilizzando anche gli strumenti concertativi e di programmazione negoziata possibili, per rendere coerente i quali potrebbe rivelarsi utile un Piano quadro da stilare ed approvare da parte dell’Università, del Comune e della Provincia Regionale.

Anche perché, nel frattempo, gli investimenti immobiliari in centro storico da parte dell’Ateneo si sono moltiplicati e riguardano ormai non solo edifici pregiati, ma anche meno significativi. Tra i primi merita una particolare attenzione il recente acquisto dall’Ente Tabacco Italiano della Manifattura Tabacchi, pregevole edificio ottocentesco nato come quartiere militare e riconvertito all’uso produttivo dopo la nascita del monopolio nel 1878, ma anche la realizzazione di nuove aule sull’area della Purità su progetto di Giancarlo De Carlo che ha sollevato accese polemiche, ma risponde alle improcrastinabili necessità dell’univerisità di massa (è inserito in un quadro organico di potenziamento del polo giuridico) ed è caratterizzato dalla qualità interpretativa e progettuale dei lavori di De Carlo rappresentando, di per sé, un contributo fondamentale per quella crescita di senso e di identità che, naturalmente, non può ridursi al recupero dell’antico, ma deve avere al suo interno, con pari dignità, i segni della contemporaneità.

N.B. Il breve saggio del prof. Nigrelli, qui riportato per gentile concessione dell’autore, è stato pubblicato su “UNiverso, rivista dell’Istituto Geografico Militare”, n. 2/2006.

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