CLASSIC: Mellon Collie And The Infinite Sadness – The Smashing Pumpkins

Smashing Pumpkins
MELLON COLLE AND THE INFINITE SADNESS   
(1995, Virgin)

                           

Chi l’avrebbe mai detto che Billy Corgan, all’indomani della chiusura del cerchio di Siamese Dream, sarebbe riuscito in così poco tempo a partorire le bozze grezze di più di cinquanta nuove canzoni? Ma soprattutto, chi si sarebbe mai aspettato che – in un periodo in cui la brevità, il minimalismo e la velocità segnavano a fuoco la stagione discografica – la Virgin, sotto la pressione del producer Flood, avrebbe accettato di pubblicarne più della metà in un disco doppio? Tali domande, in realtà, acquistano un’importanza marginale nel momento in cui si ha la possibilità di ascoltare anche solo per una volta l’ambizioso doppio Mellon Collie and the Infinte Sadness, terzo album in studio degli Smashing Pumpkins. Perchè Corgan, con questo disco, consacra la sua band come una delle maggiori della decade, e soprattutto perché si autocandida ad artista più geniale e intuitivo del periodo. Per essere più chiari, quello che esce nell’ottobre del ’95 sembra da parte degli Smashing Pumpkins il regalo che gli ascoltatori di una generazione si aspettano sempre e che definiscono “dischi del proprio tempo”. Il gioco di parole del titolo leggendario (con una copertina a metà tra quadro rinascimentale ed allucinazione spaziale) suggerisce ‘Melancholy’. Quindi malinconia, tristezza (‘sadness’) ma poi anche rabbia, passione, dolore. L’immensa tracklist di 28 brani, divisi nei due cd, vive, così, di un pluralismo emozionale e di una conseguente eterogeneità stilistica e testuale davvero da far spavento. Una vera e propria “satura lanx” al cui interno, si cela una mescola musical-concettuale da stordimento: dall’hard rock-seventies alla musica acustica; dall’elettronica alle ballate, dall’industrial ai brani orchestrali. In un’opera di tal fattura, così, l’unico elemento collante che lega la massiccia ‘diversificazione’ dei pezzi è proprio lui, Billy Corgan, con le sue anime contrastanti e i suoi umori a intermittenza (qualcuno definì il disco il “The Wall” degli anni 90). Insomma, “Mellon Collie..” è un vero e proprio viaggio visionario esistenziale. Billy ce lo racconta coadiuvato da un James Iha in splendida forma, dall’arte dei tamburi di Jimmy Chamberlain (che diventa il drummer più importante del mondo), e dal fascino dark di D’Arcy Wretzky al basso. Un viaggio della virtuale durata di un giorno, testimoniato, inequivocabilmente, dalla partizione dei due lati in ‘dawn to dusk’ (‘dall’alba al tramonto’) e ‘twilight to starlight’ (‘dal crepuscolo alla notte stellata’). Come a dire: ogni parte del giorno merita di avere un degno commento musicale.

Dall’alba al tramonto

L’apertura del disk 1 è affidata al passaggio dalla title-track strumentale Mellon Collie and the infinite sadness a Tonight Tonight. Questo binomio rappresenta il balzo dal sonno al risveglio (di soprassalto). Ed è infatti un climax struggente che ne sancisce il movimento in cui il leggero giro di pianoforte della prima canzone ‘sfocia drammaticamente’ nella seconda in un’esplosione epica realizzata, per l’occasione, dalla forza di un’orchestra sinfonica. Gli Smashing Pumpkins di “Tonight Tonight” così, rispetto al recente passato psichedelico, sono un’altra cosa: violini affannati, la marcia folle della batteria di Chamberlin, cambi di ritmo, arpeggi e aperture di archi, atmosfera onirica anzi sonnambula. La voce tanto sussurrata quanto acida di Corgan è il bianco e il nero; è il sogno e l’incubo. Il testo parla della notte delle occasioni, quella da vivere con tutta la forza. Dove l’impossibile è possibile. Billy concepisce una lyric dall’alto valore figurativo: si riconosce la sua città, si vive un’appassionante avventura notturna. E anche il video di Jonatan Dayton e Malarie Faris mantiene le tinte blu brillanti ritraendo una coppia di sposi a bordo di un pallone aerostatico in mezzo a varie evocazioni del cinema anni ’20. Dopo le emozioni più vigorose ecco il crudo nichilismo di Jellybelly e di Zero. Qui torna l’approccio graffiante della band. Tornano, quindi, le chitarre muscolari di James Iha che, in

“Zero” con una grande intuizione, s’inventa quello che diventerà uno dei riff più devastanti e classici del periodo. La coppia sopraccitata narra del difficile impatto di Billy col mondo esterno, fornendo un primo scavo nella rabbia più intima dell’autore. A porsi in questa scia ci sono anche Here is no why e Bullet with butterfly wings che rileggono l’hard rock anni 70 (Black Sabbath), ma che ci aggiungono l’elemento melodico e poetico farina del sacco di Corgan. Il basso è granitico, l’atmosfera asfissiante. Siamo sempre nel campo del furore primordiale, della lotta personale contro un mondo non condiviso (“The world is a vampire” – canta in ‘Bullet’). Le chitarre toste e la voce acida di Corgan portano questa fetta di disco a rappresentare la rabbia, il disgusto, la disillusione e il risentimento che Billy cova sin dalla sua complessa infanzia. Chamberlain fa ammattire con i suoi pugni a raffica e anche in A Ode to no one (invettiva contro un amore ipocrita), l’irrefrenabile nausea espressiva di Billy si scarica strizzata dalle bordate di rock possente e mai scontato. Corgan ha assunto le caratteristiche di un ominide: con il cranio del tutto rasato, col viso color latte, con quei completi neri. Ormai è come quei topi da cavia che girano nelle ruote e che non smettono di percorrere in lungo e in largo la gabbia. Ed è questo l’elemento fondamentale di “Mellon Collie..”, e cioè questa lotta infernale per uscirne, per capire, per non perdere il senno. Con Love, poi, i Pumpkins cambiano improvvisamente rotta. Uno strato di elettronica vaporosa innaffia questa sorta di ballata cyber-blues; l’amore narrato dal testo, sembra quello di una puttana pronta ad offrirlo a buon prezzo. Ed ecco che la favola sbarazzina del dio dell’amore in Cupide the locke, condita di clavicembalo e arpa, ci conduce finalmente tra le atmosfere rarefatte di Galapogos. Con questo brano dall’impagabile luce e profondità, Billy inaugura il tema dell’infanzia: “Non è divertente come noi pretendiamo di essere ancora bambini?” canta Corgan sugli arpeggi morbidi di Iha. La caratteristica più affascinante di questo pezzo è che riesce a delineare un andamento cinematografico. Si ha, infatti, un prologo fumoso, un passaggio di scene ed un finale mozzafiato lanciato da una scarica emozionante di chitarre e della voce di Billy che si innalza zuppa di commozione. L’electro-pop psichedelico di Porcellina of the vast oceans e il folk d’annata di Take me Down – dove al canto si riconosce la voce debole e romantica di Iha – accompagnano l’ascoltatore al tramonto rosso e, dunque, alla fine del primo disco.

Dal crepuscolo alla notte stellata

Quando comincia il crepuscolo è l’anima possente, quasi metal, di Where the boys fear to tread ad inaugurare l’oscurità. Ci troviamo ‘dove i bambini hanno paura di avventurarsi’, siamo tra le fredde braccia di qualche bosco orribile. Dal punto di vista testuale, qui, Billy strizza l’occhio ai suoi idoli del periodo dark: Cure, Bauhaus e anche le urla strazianti di Bodies sembrano proseguire un inizio dal sapore decadente. Ma poi di nuovo la nostalgia, la ‘melanconia’.

“la terra ride dietro i miei piedi pesanti
bestemmia nella mia vecchia camminata stridente
il campanile mi guida al mio cuore e alla mia casa
il sole spunta sale e scende di nuovo”

Sono i versi di Thirty-Three che con un andamento stanco, ma toccante mostra come i pumpkins si sappiano disimpegnare alla perfezione nel commento del tempo e del suo incedere. Il numero Thirty-three potrebbe suggerire Cristo e la sua Passione in quel riferimento al cammino e al sole che sale e scende. Con 1979, poi, Billy torna sui passi della sua infanzia. Chitarre lamentose, batteria sintetica regolare, leggero commento di sei corde e anche quel testo che fa un salto all’indietro verso un passato raccontato con disincanto nel presente (“un insetto d’estate che rimbalza come un ciottolo / contro i fanali che puntano verso l’alba / eravamo convinti che non avremmo mai visto finire tutto questo”): sono questi gli ingredienti che fanno grande, immensa, questa ballata. ‘1979’ diventerà anche un classico del repertorio live degli Smashing Pumpkins come perfetto ‘tirafiato’ tra una porzione di concerto ed un’altra. Tra le oscure fasi della notte, poi, seguono la complessità industrial di Tales of a scorched heart, l’acustica di Stumbleine, l’hardcore di X.Y.U., il dream-pop di Beautiful, la filastrocca di Lily(my one and only) e la splendida ballata sentimentale By Starlight. ‘Alla luce delle stelle’ e, quindi, quando la notte è carica di significati e densa di sonno, giunge la ninna-nanna Farewell and goodnight  a chiudere  “Mellon Collie” con la quadratura del cerchio: il pianoforte che si riallaccia con la title-track del primo disco. “Farwell..” è anche l’occasione per ascoltare tutti e 4 i pumpkins alla voce. Sono infatti Billy, James, Jimmy e D’Arcy che intonano un verso a testa del dolcissimo carillon di fine disco. Il viaggio di Billy Corgan termina esattamente come era cominciato e cioè con l’andamento lento e silenzioso di una buonanotte. Il sogno e il risveglio ovvero gli Smashing Pumpkins.

 


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