Ragazzi miei, scienziati della comunicazione immaginari

Cari maturandi (maturati),

pare abbiano bocciato poco le commissioni quest’anno. Adesso sarete pronti a pensare all’iscrizione universitaria. Se non è cambiato qualcosa in questo paese, molti fra voi sceglieranno le varie facoltà e corsi di laurea in Scienze della comunicazione. Di certo saranno, quelli che prenderanno questa strada, molti di più di coloro che andaranno a economia e commercio, a giurisprudenza e moltissimi di più di quelli che sceglieranno matematica, fisica e altre scienze “dure”. Vorrei dirvi: non fatelo. Ho qualche motivo valido per dirlo.

Lavoro da molti anni al crocevia tra giornalismo e tecnologia, tra internet e giornali, sulla linea di confine dei media “mainstream” con i nuovi. E le nuove iniziative essendo da sempre una delle poche porte che immettono nel mondo del lavoro, è ovvio che facciano scattare l’immaginazione, l’interesse, l’ambizione di persone che proprio nel mondo dei media, alla fine della fiera, vogliono entrare. Perché uno per quale motivo dovrebbe mai laurearsi in SdC, se non per entrare nel mondo dei media? Ripeto: non fatelo. Eccone i motivi.

Ma prima ovviamente spazziamo il campo dalle personalizzazioni. Racconto qui la spremuta delle mie esperienze con molti di voi, incontri avuti in questi anni, decine e decine di incontri e colloqui avuti in questi anni, centinaia di tesi viste, spesso anche sacrificando i sabati. Ho incontrato spesso gente seria e motivata, a volte molto preparata, sempre ben disposta a cambiare. Ma altrettanto regolarmente col piombo nelle ali. Quello dell’ambiente di studio nel quale si muovono.

Quel corso di laurea non solo non vi darà la preparazione necessaria a lavorare nei media, per i quali credo non esistano (e forse è una fortuna) vere e proprie istituzioni che possano preparare fino in fondo. Quel corso però non vi darà nemmeno le mitiche “basi” che dovrebbero poi essere necessarie per – facciamo qualche esempio – un master in marketing, un corso di giornalismo, un profilo manageriale. Perché? Non lo so, posso dirvi che è così e in che modo è così.

Ho incontrato studenti vogliosi di scrivere una tesi su internet, ho consigliato loro una bibliografia. Obiezione: “Mi scusi, ma questi sono libri in inglese”. E allora? Questo lavoro si fa con l’inglese per l’80%? “Io non so l’inglese”. Non si potrebbe avere qualcosa in italiano? No non si potrebbe.

Ho incontrato ragazzi che… volevano fare una tesi su internet. Ha fatto delle ricerche su Google? “Sì, eccole”. E capivi parlando che la ricerca su Google non era stata fatta, o che era stata fatta senza quel “raffinamento” che è il frutto di mille e mille volte che devi lambiccarti su un problema ed imparare a sgrossarlo, a renderlo sottile e lucido come un sasso consumato dal mare. Niente di tutto questo.

Ho incontrato studenti che… “la media ponderata …”. Scusi, ha famigliarità con la statistica? “No, ecco veramente, se potesse evitare certi concetti”. La media ponderata? Un concetto?

Ho incontrato studenti che… la domanda e l’offerta. “Sa, non ho tanta dimestichezza con l’economia”. Ah no? Peccato.

Ho incontrato studenti che… l’osservatore partecipante. Un largo sorriso: “Ho studiato queste cose al corso di metodi e tecniche della ricerca”, Bene, allora dicevo… “No scusi, però questo non mi serve per il mio lavoro”. Come, non ti serve? La metodologia della ricerca non ti serve?

Allo stesso tempo però fioccavano domande sul “rapporto tra giornalismo tradizionale e giornalismo on line”. Oppure, secondo lei, “come saranno influenzate le fonti del giornalismo alla luce di internet?”. Il birignao appeso tra un servizio del tg e un po’ di babbling sociologico.

Ma ignorare il “contenuto” può essere perfino perdonabile (puoi sempre recuperare, leggendo), a fronte della mancanza “criminale” (perché frutto di un comportamento che danneggia gli studenti) di una mentalità rivolta al metodo. Come selezionare gli obiettivi di una ricerca, quali sono gli strumenti da adottare, l’attitudine a leggere prima di andare da un disgraziato che lavora e che ti dedica un’ora del suo tempo.

E certo, perché, per utilizzare “l’esperto” esterno, che lavora in un’azienda, devi aver fatto prima un lavoro. Banalmente: devi sapere a cosa ti servirà, cosa vuoi chiedergli, cosa non puoi chiedergli. Insomma l’esperto è una fonte, non quello che “ti fa” la tesi o ti dà gli elementi base che avrebbe dovuto darti l’insegnante, prima che il  lavoro vero e proprio cominciasse. Nessuno, cari studenti, vi addestrerà all’ uso delle fonti. E invece: “Il professore mi ha consigliato di parlare con lei”. Immagino.

Se è possibile dirlo in modo un po’ più terra terra i professori che avrete, il personale insegnante che vi seguirà, l’ambiente nel quale vivrete non lavorerà, se lavorerà, per voi. Voi sarete soli , e solo la vostra iniziativa personale, il vostro saperci fare potrà togliervi da questo stato di abbandono. Con una ricaduta gravissima: che questa formazione da autodidatti di facoltà, affidati al proprio saperci fare, crea una cultura retorica, avvocatizia, che supera i problemi della propria preparazione sostituendo al lavoro umile e tosto la “manovra politica”, fondata su chiacchiera e trucchetti, per aggiudicarsi oggi una buona tesi e domani un posto in cattedra. E’ la selezione più ingiusta e violenta che possa esistere: quella basata sulla furbizia.

Ma questo film l’abbiamo visto. Ho più di mezzo secolo, ma questo è lo spettacolo delle università meridionali (e non solo) nelle quali si è diventati per lungo tempo docenti per meriti di combriccola accademica e / o di partito. “Scienze”…. della comunicazione?”

Ragazzi miei, scappate, scappate a gambe levate. O toccherà ad altri soggetti sopperire con i propri mezzi alle carenze della vostra preparazione: a voi in primo luogo che vi troverete a prendere le vostre lezioni nei cinema parrocchiali dismessi dai preti, poi alla vostra famiglia che dovrà sborsare tanti soldi, e a chi vi riceverà in un luogo di lavoro e che dovrà dedicare al vostro perfezionamento tempo e risorse proprie e dell’azienda (problema secondario, tuttavia, con quella laurea in una azienda non vi ci prendono).

E’ come se in ospedale i pazienti si curassero da soli o venissero curati dai famigliari invece che dai medici.

Scappate, ragazzi: verso una facoltà seria, una di scienze “dure”, una che vi faccia “fare il mazzo” sui libri e che bocci senza pietà agli esami o meglio che vi faccia spendere tanto tempo in sessioni di lavoro comune, con i i professori e gli altri studenti, con tanto lavoro finalizzato al metodo e in uno spirito di gruppo.

O perlomeno, se non ve la sentite, una dove almeno vi insegnino l’inglese, la statistica e un po’ di economia. E’ un po’ di metodo.

Ma scappate.

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