Intrigo a Berlino

Titolo: Intrigo a Berlino (The Good German).

Regia: Steven Soderbergh.

Soggetto: Joseph Kanon, “Il buon Patriota”.

Sceneggiatura: Paul Attanasio.

Fotografia: Steven Soderbergh.

Musica: Thomas Newman Kohout.

Montaggio: Steven Soderbergh.

Interpreti: Tobey Maguire, Cate Blanchett, George Clooney, Jack Thompson, Beau Bridges.

Produzione: Sunset – Gowers Studios, Warner Bros., Section Eight Ltd.

Origine: USA, 2006.

Durata: 105’.

 

 

 

Ultimo lavoro di Soderbergh, che dopo la “trilogia” di Danny Ocean, insieme allo stesso George Clooney (Jacob Geismer nel film), si concede un “finto-film antico”, un rifacimento di classici. Difatti, Intrigo a Berlino, o The Good German che dir si voglia, prendendo spunto dal romanzo Il buon patriota di Kanon, mette in scena una Berlino post-bellica, distrutta, sempre velata da un polvericcio insistente e persistente, a simboleggiare il decadimento totale, non solo fisico e strutturale delle città, ma anche e soprattutto della società stessa, in cui tutti, dal più ricco al più potente al più povero, agiscono solo per il loro tornaconto, per andare avanti e sopravvivere. Inserisce poi qua e là (o addirittura come sfondo) immagini di repertorio, nel tentativo di voler rendere ancora più credibile e attaccato al vero il suo film. Possiamo notare, poi, vari riferimenti e richiami a film classici, tra cui spicca ovviamente il finale alla Casablanca di Curtiz, omaggio forse un po’ troppo evidente ed eccessivo per essere considerato tale. Inoltre, Soderbergh non si fa mancare una colonna sonora di tutto rispetto, in linea con lo stile degli anni ’40, e una fotografia in bianco e nero, in cui i bianchi sono quasi accecanti, per rendere i bagliori propri delle riprese del tempo. Utilizza infatti, non solo per il visivo, le stesse tecniche di ripresa e registrazione vocale utilizzate allora.

 

La scena si articola tra la Berlino devastata del dopo-guerra, divisa in quattro, e Potsdam, località in cui a breve i potenti del mondo, vincitori del conflitto mondiale, avrebbero deciso le sorti del mondo stesso. In questa ambientazione si inserisce la storia del capitano Geismer, giornalista arruolatosi nell’esercito e mandato a Berlino, dove aveva vissuto tempo addietro, come corrispondente. Il vero motivo che, però, lo spinge a tornare a Berlino, è ricercare la donna di cui era innamorato e con cui aveva avuto una storia quando viveva nella capitale tedesca: la sua segretaria, Lena Brandt. La troverà, ma a causa sua, verrà coinvolto, suo malgrado, in un intreccio di spionaggio, omicidi e potere all’interno di un grande “intrigo internazionale”.

 

Nonostante tutto l’impegno e il lavoro di Soderbergh, il film non riesce a coinvolgere totalmente lo spettatore: alcune “escamotages” del regista, infatti, rendono complesso seguire le fila della narrazione. Primo fra tutti, il meccanismo del “passaggio di testimone”, in cui l’azione si sposta di volta in volta, da un personaggio all’altro, modificando in questo modo il punto di vista. Poi, la lentezza dello svolgimento dell’azione. Ed infine, le personalità dei protagonisti, talmente complicate e complesse da apparire contraddittorie e disorientati per lo spettatore: in un film degli anni ’40, infatti, sarebbero stati molto più netti e divisi tra buoni e cattivi. Inoltre la vicenda storica, seppur semplice in sé, è scarna e poco approfondita, tanto da creare qualche difficoltà nel comprendere il filo logico della storia.

 

Il nostro eroe è l’unico con degli ideali veri; ideali che sono ormai del tutto scomparsi della società del tempo, e proprio per questo è ovviamente Clooney che alla fine resta con un “palmo di naso”, deluso e amareggiato per un amore che è tutta una finzione.

Il film tende ad essere un elogio dei classici che vengono imitati ma mai raggiunti.

 

Articolo in collaborazione con il Medialab della Facoltà di Lingue

“La recensione giornalistica” diretto da Davide Brusà


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