Edilizia, tre storie di crisi nel ricordo di La Fata «Il futuro? Ormai dura al massimo una settimana»

«Continuo a cercare un lavoro, la speranza non l’ho ancora persa. Ma a volte faccio brutti pensieri, pensieri estremi». Si riferisce alla morte Pippo Vecchio, operaio 60enne, muratore specializzato in intonaci che nella sua vita professionale ha girato «tutta l’Italia, e anche il nord Africa». Ha iniziato a lavorare a 15 anni, mentre l’ultimo suo incarico professionale lo ha svolto nel 2013, all’interno del cantiere del parcheggio di piazza Europa a Catania. «Poi nient’altro. Andrò in pensione con i miei 20 anni di contributi versati, per una pensione minima. Molte volte sono stato costretto a lavorare in nero e mal pagato», afferma mentre sorride. E non è una contraddizione: «Anche lui rideva». Si riferisce a Salvatore La Fatal’operaio escavatorista 42enne bruciatosi vivo in piazza Risorgimento, dopo che la sua merce – una ventina di euro tra olive e pochi altri ortaggi che vendeva per racimolare qualche euro -, era stata sequestrata dai vigili urbani. Non erano amici, «ci siamo visti alcune volte al sindacato, alla Fillea Cgil», spiega Pippo, che con Salvatore La Fata ha partecipato anche a una manifestazione a gennaio, la marcia del lavoro dei cappelli di carta. Ma il ricordo di quel gesto, a tre mesi di distanza, è ancora vivo tra i tanti che al momento, a Catania, lavoravano nell’edilizia e oggi sono senza lavoro.

«Quel giorno di gennaio i cappelli di carta hanno chiesto un tavolo permanente in prefettura per monitorare lo stato dei cantieri. E purtroppo le istituzioni si sono svegliate solo dopo il gesto di La Fata», spiega Claudio Longo, ex segretario generale della Fillea Catania. Da fine novembre ha lasciato il posto al vertice del sindacato dei lavoratori edili a Giovanni Pistorio, ma quel tavolo permanente ottenuto dalla prefettura lo considera il suo più grande risultato. «Ci sono 600 milioni di opere pubbliche da sbloccare in città e in Sicilia orientale: due tratte della metropolitana, le fognature e il depuratore. Poi il raddoppio della Ragusa-Catania, e anche il Pua, il piano urbanistico attuativo per la Playa di cui si è tanto parlato nelle ultime settimane», spiega Longo. Che sul Pua specifica: «Nessuno vuole una colata di cemento, questa è una occasione di sviluppo, che si può fare con la bioedilizia: altrove lo hanno già capito», prosegue Longo. Che ha anche un’altra ricetta per sbloccare il settore: le ristrutturazioni. «Pensate a quanto lavoro possa dare già solo adeguare sismicamente tutti gli edifici nati a Catania intorno agli anni ’60. Oppure il ripristino dei monumenti: sono migliaia e migliaia di posti di lavori, perché ogni operaio edile che lavora porta lavoro ad almeno altri quattro settori», conclude Longo.

Un campo, quello del recupero edilizio, in cui è specializzato Alessandro Musumeci. Ha 43 anni, è geometra, lavora da quando ha compiuto 18 anni e da circa un anno è disoccupato. Lavorava per la Imea prefabbricati, nella zona industriale di Catania. «Ma ho competenze ed esperienza, e cerco un lavoro nel settore», afferma sicuro. Meno sicuro del suo futuro è invece Giovanni Tuccio, anche lui 43 anni. Ha una laurea all’Accademia di Belle Arti, un master in restauro e quindici anni di esperienza sul campo maturata in giro per l’Italia. «Pensavo che con gli studi, il curriculum e le esperienze avrei potuto vivere della mia professione», afferma. Invece per vivere «faccio qualche lavoretto di riparazione quando capita, spesso chiamato dagli amici. Ho una bambina di otto anni, e una grande mano me la danno i miei genitori, che mi hanno dato una casa». Un presente pieno di incertezze per Giovanni, con una moglie «laureata e con master, che ha studiato più di me. Ma paradossalmente la sua condizione lavorativa è anche peggio della mia». E il futuro? «Il futuro è solo una cosa astratta, posso permettermi di fare programmi al massimo settimanali. L’unica cosa da fare è andare avanti, con dignità e cercare di trovare una soluzione», conclude Giovanni Tuccio.


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