Vita da pendolare

Ore 7:12, stazione di Giarre-Riposto, binario 3.
Stranamente puntuale si ferma il treno diretto a Catania. Come sempre, dietro la linea gialla, sono molte le persone che aspettano: la maggior parte  universitari, un buon numero di lavoratori pendolari tra cui è facile distinguere un gruppetto di insegnanti che discutono dell’incontro con i genitori del giorno prima; grandi occhiali da sole su facce assonnate. Quattro carrozze non bastano ad assicurare il posto a sedere per tutti, così mi fermo subito nello spazio che separa i vagoni e guardo il lento via vai di persone. Mezz’ora circa separa Giarre da Catania ed è un lento risveglio: in un orecchio una cuffia per ascoltare l’mp3, nell’altro le parole di un amico o di un ex compagno di classe che condivide i tuoi stessi orari mattinieri; un occhio alle persone che ti stanno intorno, un altro fuori a guardare il sole appena sorto che illumina un mare che intorno ad Acireale si colora di tinte straordinarie. Arrivo alla stazione di Catania alle 7:40, la tabella di marcia è stata rispettata e di conseguenza ho esattamente quei venti minuti che ci vogliono per percorrere a piedi tutta la via di San Giugliano, compresa la salita, fino alla facoltà. Per oggi niente autobus e, come me, molti altri studenti si incamminano per la passerella che costeggia la ferrovia. Sdraiati sulle panchine si incontrano numerosi senza tetto, alcuni ancora dormienti, altri appena svegliati dal sole ormai abbastanza alto, la maggior parte sono stranieri: nordafricani e provenienti dall’Est. Per terra cocci di bottiglie di birra e molte cicche di sigaretta, residui della notte trascorsa. Arrivo in facoltà alle otto e cinque, la prof non è ancora arrivata, c’è anche il tempo per un caffè, già il secondo della giornata.

La lezione delle otto è una lotta, un continuo alternarsi di momenti di concentrazione e di pause alienanti, una full immersion nella letteratura inglese e un vago ricordo del sogno della notte passata che riaffiora a poco a poco. La pausa sigaretta è per molti una liberazione. Usciti nuovamente all’aria aperta sembra un riemergere alla luce dopo un tempo indefinito e il terzo caffè ne segna una nuovo inizio. Adesso c’è da colmare un vuoto di più di sei ore, visto che la prossima lezione è prevista per le 16:30: i tipici, estenuanti vuoti della nostra cara facoltà di lingue. Dopo i vani tentativi di trovare un posto nel laboratorio linguistico e nella zona studio del ponte di legno dove gli studenti-fantasma sono sempre più di quelli reali, riesco a sedermi nelle aule sopra l’A2. Il brusio di sottofondo proveniente dal corridoio del piano sottostante non è così forte da impedirmi due ore intense di studio al termine delle quali l’ospitalità di una collega mi evita il classico pranzo da universitario pendolare privo di mensa: stavolta niente panino, né pezzo di tavola calda seduto sui gradoni della chiesa di San Nicolò o nel prato che circonda il secondo ingresso del monastero.

Ultime due lezioni: come sempre sto attento all’orologio, alle 20:15 devo evadere con dispiacere dall’aula, lasciando in sospeso l’ultima parte della guerra civile spagnola: meglio non contare sull’improbabile passaggio di un autobus e calcolare ancora una volta i 20-25 minuti necessari a raggiungere la stazione a piedi. L’ultimo treno regionale per Messina parte alle 20:48. Passando davanti alla SNAI poco prima dell’incrocio di via Etnea incontro scommettitori imperterriti e assorti nel guardare le ultime corse dagli schermi che si affacciano sulla strada; poco più avanti, sempre sulla via San Giugliano, signori eleganti, con consorti e ingombranti macchine che ostacolano il traffico, stanno per entrare a teatro; i pub di piazza Teatro Massimo si preparano all’assalto notturno. Proprio la piazza segna una sorta di spartiacque, da qua in poi bisogna fare più attenzione, l’illuminazione è meno intensa, le saracinesche dei negozi sono già tutte calate e si incontra sempre meno gente man mano che ci si avvicina alla meta. Anche nella passerella finale che porta alla stazione non c’è più tutta la gente della mattina; solo qualche gruppetto di nordafricani vicino alla grande fontana i cui spruzzi d’acqua sono ancora accesi. Si avvicinano alcuni ragazzi offrendo loro dei panini: sono volontari che avevo già visto altre volte soprattutto nelle sere invernali. Dopo un’iniziale diffidenza, il gruppetto accetta di buon grado e i visi apparentemente duri e minacciosi si sciolgono in sorrisi pieni di ringraziamento. Salgo sul treno vecchio modello le cui carrozze sono pieni di murales; è uno degli ultimi superstiti all’invasione dei “Minuetto”, i treni piccoli, ma supertecnologici che da due anni a questa parte stanno sostituendo i più vecchi sulla tratta Messina-Catania.

Apro il giornale, una lettura distratta ai fatti del giorno. Arrivo alla stazione di Giarre alle 21:20. Fortunatamente la macchina è ancora nel posteggio e in dieci minuti sono finalmente a casa. Doccia e cena: domani è un’altra giornata universitaria.


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