Pozzo di Gammazita, «interesse storico da tutelare» Ma abbandonato dopo i lavori milionari degli anni ’90

«Per il suo interesse storico è un luogo meritevole di vigilanza e tutela da parte di questo ufficio». Era il 1949 e la Soprintendenza etnea rispondeva così all’allora sindaco di Catania che chiedeva notizie circa il pozzo di Gammazita, in zona Castello Ursino. Da allora, nonostante sia trascorso più di mezzo secolo, non è ancora cambiato niente. Se non che da tempo un’amministrazione non si interessa al monumento. Eppure, «i beni nel sottosuolo sono considerati di proprietà della Stato. Nessuno ha mai messo in dubbio che il pozzo di Gammazita sia una struttura pubblica e precisamente del Comune che ne ha il possesso e dovrebbe assicurarne la fruizione», spiega Antonio Pavone, architetto, ex soprintendente etneo e oggi presidente dell’associazione Italia Nostra. Negli anni ’90 fu proprio lui a occuparsi per l’ultima volta del monumento. Un mese fa i volontari dell’associazione Gammazita hanno protocollato in Comune una richiesta ufficiale per il suo affidamento, per garantirne «a titolo gratuito e senza scopo di lucro, la fruibilità». Il bene, negli anni, è stato prima trasformato in una discarica e dopo chiuso alle visite di cittadini e turisti. Anche per un problema di pubblica incolumità a cui di recente si è posto rimedio. «Parliamo del cuore della città, segnato da quel che resta delle mura Cinquecentesche – continua Pavone – Per me si tratta di un monumento diffuso».

Al momento, alla Soprintendenza etnea esistono solo due faldoni sul pozzo di Gammazita. Uno storico con lo scambio epistolare del 1949 e un altro con i documenti che riguardano i lavori effettuati negli anni ’90. In mezzo, c’è traccia solo del rinnovato interesse di cittadini e studiosi. Nella lettera di metà del secolo scorso, l’allora soprintendente etneo sottolinea l’importanza storica del pozzo, richiamato sempre come cortina di Gammazita perché ospita una parte delle mura volute dall’imperatore Carlo V nel ‘500 e precisamente «quella aderente al baluardo di Santa Croce». Un riferimento alla cortina, continua l’allora soprintendente, si trova già in una relazione del 1621 conservata nell’archivio comunale poi distrutto dall’incendio del 1944. Dalla data della lettera è necessario fare un salto in avanti di più di quarant’anni. 

Siamo nel 1992 e viene dato alle stampe il volume Il disegno delle difese di Giuseppe Pagnano, passato alla storia come pietra miliare nello studio delle trasformazioni del volto della città. Nel libro fa capolino una foto: «Resti della fonte di Gammazita. Sotto la volta della grotta di scorrimento lavico si intravvede la cortina cinquecentesca di Gammazita, interrata dai rifiuti», recita la didascalia. Dall’anno dopo, si susseguono le lettere dei rappresentanti del quartiere e dell’associazione Legambiente affinché la Soprintendenza intervenga. I cittadini denunciano «il degrado e l’abbandono» del bene. I vigili urbani di Catania, nel verbale che redigono dopo un sopralluogo, confermano «la gravità» della situazione. Da quel momento, la corrispondenza tra enti pubblici si fa fitta. La Soprintendenza richiede al Comune – dal 1993 al 2000 guidato sempre dall’attuale sindaco Enzo Bianco – un controllo sul palazzo che ricade sul bene, a causa della presenza di «strutture superfetative (cioè aggiunte a posteriori in modo abusivo, ndr) e precarie». L’amministrazione, dal canto suo, chiede di rimando se sia possibile rimuovere i rifiuti considerato che il monumento rientra tra quelli segnalati negli itinerari turistici. Intanto l’immondizia fa mostra di sé all’interno della fonte «fino a due metri dalla quota stradale», si legge.

Così la Soprintendenza chiede alla Regione un finanziamento per dei lavori di somma urgenza il cui iter ed eventuali pause risultano oggi poco chiari da ricostruire con i documenti a disposizione. Cominciati nel 1994, i lavori continuano fino al 1998, quando alla ditta che se ne occupa viene saldato il conto: con una cifra a base d’asta di 62 milioni di vecchie lire e un’aggiudicazione con un ribasso di quasi dieci milioni, alla fine i lavori vengono a costare circa 72 milioni di lire. Il pozzo viene ripulito, le scale per accedervi dal cortile ripristinate, la fonte liberata da macerie e roccia lavica. E soprattutto dal bagno pensile abusivo che un inquilino del palazzo aveva costruito sulla facciata e che incombeva sul bene. Viene anche previsto un muretto con una ringhiera da cui è possibile affacciarsi per guardare il monumento. Oggi però dei risultati di questo investimento non resta quasi nulla. Le scale sono pericolanti e da tempo non è più possibile scendere fino alla fonte. La ringhiera da cui centinaia di cittadini e curiosi si sono affacciati negli ultimi anni – con le visite condotte dai volontari di Gammazita e di altre associazioni cittadine – porta i segni del tempo trascorso senza manutenzione. Il pozzo, pulito periodicamente dagli stessi volontari, è di nuovo inaccessibile.


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Alla Soprintendenza etnea esistono solo pochi documenti che trattano del bene. Ma tutti sottolineano la sua importanza. «Un monumento diffuso, di proprietà del Comune», spiega Antonio Pavone, ex soprintendente etneo. L'ultimo a occuparsi della fonte, nel secolo scorso, allora ricettacolo di rifiuti e di cui un mese fa l'associazione Gammazita ha chiesto l'affido per garantirne la fruizione

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