Raffaele Lombardo difende se stesso «Io l’antimafia dei fatti l’ho pagata cara»

«Soltanto l’imputato si può difendere. Gli avvocati, anche se competenti e appassionati, potranno conoscere il cinque per cento della tua vita. Per questo ciascuno è il miglior difensore di se stesso». Nello studio di casa dell’ex governatore regionale Raffaele Lombardo, condannato in primo grado per concorso esterno alla mafia, i faldoni del processo Iblis occupano quasi tutta la parte bassa di un lungo mobile. Lombardo, sempre presente alle udienze, quelle pagine le ha studiate con attenzione. Accompagnato dalle urla della fera o lune, che si svolge a pochi passi dall’abitazione dell’ex vicensidaco di Catania e presidente della provincia etnea. Unica distrazione sembra essere la campagna, con la sua coltivazione di fave biologiche e gli animali. Argomento quasi tabù è invece la politica, specie quella regionale. Nei prossimi mesi Lombardo dovrà affrontare tre processi: l’appello per concorso esterno alla mafia, il primo grado insieme al figlio per voto di scambio e il procedimento ormai prossimo alla prescrizione per abuso d’ufficio nella vicenda sull’appalto Sac alla Publiservizi. MeridioNews ne ha discusso con lui in una lunga intervista, proposta in tre parti: di seguito le vicende giudiziarie, poi quelle politiche e personali.

«Moderatore, arbitro e mediatore» tra mafia, politica e affari. Nella sentenza a suo carico lei viene descritto così. È un quadro che la rispecchia?
«Io accetto la sentenza, ma questa è un’invenzione di sana pianta. Non mi sono mai occupato del centro commerciale Tenutella che viene presentato come una compensazione per la mafia catanese rispetto al centro commerciale Porte di Catania che sarebbe stato ad appannaggio di quella palermitana. Un mese prima della sentenza, per condannarmi o per cercare di mettere dentro Mario Ciancio, viene consegnata un’intercettazione nello studio del direttore del quotidiano La Sicilia che l’accusa non aveva mai inserito nel mio processo, anche se la conosceva da tempo. Leggendola con attenzione e con un minimo d’imparzialità, la registrazione dimostra la mia assoluta estraneità alla vicenda».

Ho visto correre e inchinarsi davanti a Ciancio schiere di politici

In quella intercettazione le si chiedeva d’intervenire “Ammorbidendo, ma non in denaro, i dirigenti”.
«È un discorso tra di loro, a me non interessa. Io dico “Avete bisogno di una variante tecnica?” e spiego che avrei promosso un incontro tra loro e un dirigente per vedere se era fattibile. Abbiamo poi scoperto che quel funzionario si era dimesso dal Comune di Catania tre giorni prima che io diventassi presidente della Regione. In più la ditta che costruiva il centro commerciale Porte di Catania aveva già ottenuto da qualche giorno l’autorizzazione alla variante perché poteva avvalersi del silenzio assenso del Comune. A me della questione non è mai fregato niente. Si chieda a questi costruttori perché hanno scelto questa o quella ditta per i lavori e se mai Lombardo gli ha segnalato qualcuno. Vincenzo Basilotta si offre lui di fare dei lavori a casa mia: portarmi del cemento, realizzare la recinzione e portarmi della terra che prendono non me ne frega dove».

La prendono appunto dal cantiere del centro commerciale Porte di Catania…
«Loro dovevano smaltire la terra che portavano via da lì e io dovevo aggiungere della terra buona dove ho un terreno argilloso. Pago questo lavoro la bellezza di 90mila euro più Iva con un bellissimo assegno di 108 mila euro. Che poi questi signori facciano dei lavori, abbiano cave, falliscano piuttosto che incrementare i loro fatturati sono affari che non mi riguardano e non mi interessano. Così come non c’è prova contraria che io li abbia segnalati da qualche parte, mafiosi o non mafiosi».

Del suo rapporto con Mario Ciancio – nome che ricorre spesso in sentenza – lei ha detto: «Sono stato il politico meno disponibile alle sue richieste». A cosa si riferiva?
«A Catania molti si beavano della confidenza ricevuta da Ciancio, del fatto di dargli e farsi dare del tu. Io e Ciancio invece ci diamo del lei. Ho visto correre verso di lui a inchinarsi schiere di politici quando ha chiesto qualcosa, che so io, per la vicenda del Pigno o per il Pua alla Playa. Io credo di aver avuto con lui un rapporto dignitoso e rispettoso. Sono stato più volte al giornale quando mi chiamava per le interviste, ma il nostro era un rapporto costruito sul rispetto reciproco, senza inciuci e intrecci di nessun tipo».

Nella sentenza sono citati anche Raffaele Bevilacqua (’avvocato ed ex consigliere provinciale Dc, considerato il colletto bianco a capo di Cosa nostra ennese, ndr) e Salvatore Bonfirraro (ritenuto il braccio destro di Bevilacqua, ndr). Un appunto nell’agenda di Bevilacqua riporta “ore otto da Raf”, “sollecitare Raf” per l’assunzione di una certa Sabrina all’aeroporto di Catania. Quali erano i suoi rapporti con queste persone?
«Non c’è nessuna prova che io mi sia incontrato con Bevilacqua né che lui si riferisse a Raf come Raffaele Lombardo. In ogni caso, non c’è dubbio che Bonfirraro mi abbia chiesto delle cose ed è possibile che lo abbia fatto su input di Bevilacqua. Ma io a questi signori non ho fatto nulla. Di certo c’è una registrazione del 2003 in cui mando al diavolo Bonfirraro perché sostiene il candidato di Bevilacqua e non quello segnalato da me. Se io fossi stato minimamente amico di Bevilacqua, ci sarebbe stato questo conflitto?».

In tribunale deve rispondere anche di voto di scambio semplice insieme a suo figlio Toti. Secondo i racconti dei primi testimoni, a Catania la politica si basa solo su posti di lavoro e richieste per parenti e amici. È così?
«C’è un aspetto che dev’essere sfuggito. Se io corrompo un signore attraverso assunzioni, denaro o altre utilità facendolo votare per me, vuol dire che era orientato a votare diversamente. Ma il signor Ernesto Privitera è forse la persona che mi è legata da più tempo, da quando ha cominciato a votare fino al 2008, quando è stato eletto con me al consiglio di quartiere a Catania. È come se io andassi da un notaio per comprare un immobile che è già di mia proprietà. Il notaio mi guarderebbe, penserebbe che sono mezzo rincoglionito e mi accompagnerebbe alla porta dicendo “Questo si vuole comprare la casa che è già sua”».

Nell’ultimo periodo è tornato d’attualità il tema dei professionisti dell’antimafia, specie dopo la notizia dell’indagine a carico di Antonello Montante, delegato per la Legalità di Confindustria. Per lei, che di certo non è annoverato in questa categoria, cos’è l’antimafia?
«È fare il proprio dovere, rispettare la legge, non farsi corrompere, non favorire né i mafiosi né gli antimafiosi e combattere nei fatti la mafia piuttosto che con le chiacchiere o con le manifestazioni di facciata. Io ho bloccato l’eolico in Sicilia, infiltrato dalla base fino alla pala che girava. Io ho fatto saltare l’affare da cinque miliardi di euro dei termovalorizzatori dove la mafia, piaccia o non piaccia, c’era fino in fondo. Io, se non ho mai parlato delle minacce ricevute, è stato per non allarmare la mia famiglia e perché non mi sono allarmato io. Purtroppo credo che qualcuna di queste cose, se non tutte, l’ho pagata cara. Per Montante, mi auguro possa dimostrare che non c’entra nulla con queste accuse, ma non ne ho la più pallida idea perché quando sento queste notizie cambio canale».

Per concludere il capitolo giudiziario, lei è stato definito una sorta di dominus della vicenda Sac. Come risponde alla ricostruzione dell’accusa?
«Non ho seguito questo processo perché sono stato informato male. Mi era stato detto che tutto si sarebbe concluso con una prescrizione, in effetti prossima, ma consegnerò una memoria ai giudici e rilascerò spontanee dichiarazioni. Tutto nasce dal fatto che, quando ero presidente della Provincia, c’erano diverse ditte private di pulizia, guardiania e manutenzione che, pur pagate profumatamente, sottopagavano i lavoratori. Così abbiamo pensato di fare una società a intero capitale pubblico, la Pubbliservizi, dove ho coinvolto alcuni Comuni ed enti pubblici come la fondazione Massimo Bellini e la Sac. La cosa la promuovo io, non ho niente da nascondere. L’equivoco però è che non c’è stato nessun affidamento in house, come ci contestano, ma solo un affidamento provvisorio per necessità e urgenza».


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