Galilei, lettera aperta sul murales con Impastato Un ex docente: «Il compromesso è inaccettabile»

«Che il murales con il volto di Peppino Impastato si faccia alla circonvallazione è squallido. Io so bene, e lo sanno bene anche gli studenti, che la lotta alla mafia si fa senza se e senza ma». Elio Camilleri dal 1984 al 2009 ha insegnato Storia e filosofia al liceo scientifico Galileo Galilei di Catania. E lo ha fatto portando in aula la «coscienza antimafiosa» che è maturata in lui negli anni Sessanta e Settanta. Perché lui fino al 1966 ogni mattina andava alla stazione di Terrasini — il paese del Palermitano di cui è originario — e aspettava il treno per andare al liceo classico Garibaldi di Partinico. Insieme a Peppino Impastato, suo compagno di scuola, che sulla banchina attendeva lo stesso convoglio. «Lui aveva già avuto i primi dissidi con la sua famiglia. Se n’era andato da Cinisi e si era trasferito a Terrasini, da uno zio. Viveva proprio a pochi passi dalla stazione. Io, invece, abitavo a cento metri da quella che poi sarebbe diventata la sede di Radio Aut», racconta Camilleri. Lui la sua amicizia con Impastato la ripercorre sottovoce, con emozione. La stessa emozione che ci mette quando parla dell’insegnamento e dei suoi ragazzi. Quelli con i quali ha condotto per anni una battaglia sulla lotta alla mafia. «Quando ho letto che il murales di Peppino era stato rifiutato sono rimasto scioccato», dice. Ed è per questo che ha scritto una lettera aperta alla preside Gabriella Chisari, chiedendole di spiegare le motivazioni che hanno portato «al compromesso dei due murales». Il primo, quello su Impastato, alla circonvallazione. Il secondo, su un altro tema e figlio di un concorso di idee, sul muro del liceo scientifico etneo.

«È stato scritto che il primo rifiuto era frutto di incomprensioni e fraintendimenti. E che si sarebbe trovata una soluzione. Adesso si è pronunciato il collegio dei docenti ed è stata approvata la variante dei due murales che, dicono, lascia tutti contenti e soddisfatti. Non capisco perché, visto che pare che la preside abbia detto che il murales con il volto di Impastato si doveva fare da un’altra parte. Ed è quello che accadrà: si farà da un’altra parte», continua l’ex docente. «Per carità, che il dipinto si faccia è una cosa importantissima. Ma se si fosse fatto nel perimetro della scuola sarebbe stato un suo patrimonio, avrebbe avuto un valore inestimabile». Tanto più che gli studenti che sono passati dai banchi del Galileo Galilei con l’antimafia e con Peppino Impastato hanno avuto, negli anni, un rapporto particolare, fatto di progetti didattici e di studio. «Siamo stati i primi e gli unici a intervistare Filippo Malvagna, il pentito di mafia, nipote del boss Giuseppe Pulvirenti, detto ‘u Malpassotu; siamo stati i primi e gli unici a creare un dossier sui beni confiscati, coinvolgendo gli uffici dell’Agenzia delle entrate. Abbiamo fatto un libro, proprio su Peppino Impastato. E abbiamo invitato in aula Giambattista Scidà, ex presidente del tribunale per minorenni di Catania, che ha parlato della criminalità minorile».

Attività che sono state fatte «non solo grazie a me, ma anche dopo che io sono andato in pensione». «Però non si può pensare che le cose che sono state fatte in passato bastino a giustificare i rifiuti di oggi — arringa Elio Camilleri — È una contraddizione, ed è inaccettabile. Quella frase, “La mafia uccide, il silenzio pure“, è scritta in tante scuole in giro per la Sicilia, perché non sul muro di una scuola di Catania?». Un muro su cui, tra l’altro, è già stata affissa in passato: «Coi miei ragazzi avevamo realizzato uno striscione che era la copia esatta di quello che era stato portato in processione durante il funerale di Peppino, la prima vera manifestazione antimafia d’Italia. Abbiamo riprodotto il disegno originale, accanto al quale era scritta quella bella affermazione — ricorda — Lo abbiamo appeso prima in aula magna, e poi, per qualche giorno, proprio sul muro esterno della scuola. Allora riserve non ce n’erano, allora quella frase non sembrava troppo forte. Peppino Impastato gli studenti del Galileo lo hanno sempre considerato una cosa loro». 

Non è la prima volta, però, che al Galileo Galilei una frase fa discutere. È successo in passato, nel 2002, nell’anno del 24esimo anniversario dalla morte del giornalista e attivista. «I ragazzi erano stati a Cinisi, avevano conosciuto Felicia Bartolotta, la madre di Peppino. Di lì a poco si doveva lanciare il giornalino della scuola, mi chiesero di scrivere qualcosa. Scrissi un articolo su Peppino, si intitolava Ventiquattro garofani rossi“, che erano quelli che, con gli studenti, avevamo portato sulla sua tomba. Nel mio pezzo, citavo la frase scritta sulla sua lapide: “Peppino Impastato, rivoluzionario e militante comunista assassinato dalla mafia democristiana“. Il mio articolo lì non venne mai pubblicato. Il giorno della presentazione del giornalino, in aula magna con tutte le autorità, ne stampai decine di copie e le distribuii in platea. Alla fine del pezzo ricopiai il testo dell’articolo 21 della Costituzione, quello sulla libertà di stampa». 

Quando Impastato ha cominciato le sue battaglie contro Gaetano Badalamenti aveva l’età degli studenti che oggi si sono visti rifiutare un murales con il suo volto. «Io me lo ricordo Badalamenti — dice Camilleri — A Terrasini la scuola media non c’era, io dovevo andare a Cinisi. Avevo dieci anni e lo vedevo sempre, in piazza, vestito di bianco, a vendere sigarette di contrabbando. Poi è diventato un capo di Cosa nostra. Noi in quegli anni lo sapevamo che c’erano delle famiglie che comandavano, che avevano certi legami con certa politica, capivamo che qualcosa non andava. Ma ancora non era maturato in noi quel disgusto, quel disprezzo che ci faceva capire che era giusto combattere. La coscienza è maturata più in là, dopo la strage di Ciaculli, una delle più sanguinarie, che chiuse la prima guerra di mafia. Poi le stragi continuarono, continuarono gli omicidi, e la coscienza antimafiosa cresceva». E adesso che è assodata, deve essere trasmessa: «Quello che imparano a scuola i ragazzi lo riportano fuori. Se ricevono messaggi positivi, loro ti seguono — conclude Elio Camilleri — Loro lo capiscono se c’è un insegnante che ci tiene veramente a spiegare qualcosa. Loro lo capiscono, porca miseria, se tu a loro ci tieni veramente. Se li hai veramente a cuore i ragazzi se ne accorgono, e ascoltano quello che hai da dire».


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