Lettera della madre di Mattia, morto a 5 settimane «Chiunque denunci la sanità è sempre da zittire»

«Lei non ci conosce affatto, non conosce tutto l’iter ospedaliero di nostro figlio, quindi gradirei che non avanzasse né consigli né pareri riguardo la nostra vicenda. Per il tempismo le darei un premio, perché a cose fatte è bello parlare». La madre di Mattiail neonato di cinque settimane morto lo scorso febbraio dopo tre ricoveri in tre diverse province, risponde a un’altra mammaFrancesca La Spada, presidente dell’associazione Pi.Gi.tin (Piccoli giganti in Terapia intensiva neonatale) che riunisce i genitori di prematuri, intervenuta pubblicamente in difesa della Tin dell’ospedale Umberto I di Siracusa pochi giorni dopo la morte del piccolo. I genitori di Mattia, originari di Bronte, iniziano il loro calvario quando dai medici etnei non viene diagnosticata un’infezione alla donna. Trasferita per il parto all’ospedale siracusano, in assenza di posti liberi nel Catanese. Poco dopo a Mattia – nato prematuro di 24 settimane e dal peso di appena 870 grammi – viene diagnosticata una grave infezione polmonare. Sono i giorni in cui si consuma un’altra tragedia, quella della piccola Nicole, e i controlli disposti subito dopo coinvolgono anche la struttura aretusea. Dove, secondo i genitori non avrebbe funzionato un macchinario per la respirazione. Per i medici siracusani la situazione non è grave, ma viene disposto il trasferimento a Messina. Lì i responsabili dell’Unità intensiva neonatale constatano come il quadro vitale di Mattia sia ormai compromesso. Il bambino muore il 27 febbraio. Sulla vicenda la procura di Catania ha aperto un fascicolo, sul corpicino è stata effettuata l’autopsia, e sono indagate sei persone tra le quali cinque medici

Pochi giorni dopo, il 5 marzo, La Spada invia una lettera per difendere l’operato dell’ospedale Umberto I di Siracusa. La responsabile dell’associazione è madre di una bambina nata prematura nella struttura aretusea. «In quei quattro mesi lì dentro ho visto tanti bimbi arrivare e tanti andar via, chi dalla porta, chi con gli angeli, tutti trattati con la stessa cura e delicatezza, con lo stesso affetto e la stessa partecipazione, ma ognuno con la propria storia e il proprio destino». «Volevo rammentarle che io e mio marito in tutto il percorso affrontato, di un mese e una settimana, in Tin non abbiamo avuto il supporto psicologico di nessuno, né dell’associazione di cui fa parte, né dell’Asp di Siracusa che difende – risponde la madre di Mattia – Vi siete limitati solo a fare le condoglianze, tramite giornali, a una famiglia che possibilmente aveva bisogno di altro». La donna brontese continua: «Lei non ha vissuto la nostra esperienza, infatti mi risulta che lei la sua bimba l’ha portata a casa, l’ha cresciuta con tutte le difficoltà che avrà avuto, mentre noi il nostro piccolo lo abbiamo al cimitero e non a casa e non avremmo mai il piacere di crescerlo; quindi non le permetto nemmeno di darci consigli su come gestire la nostra rabbia e il nostro dolore».

«Si è mai chiesta se è corretto trasferire un prematuro per 161 chilometri, con mille rischi, per un ventilatore mancante? Si è mai chiesta il perché di tutta quella strada passando da Catania e non trovando un posto?»

«La Spada non mi ha risposto privatamente, oggi la invito a farlo pubblicamente», spiega la madre di Mattia. La sua è una missiva dal contenuto amaro, nel quale ripercorre le cinque settimane tra gli ospedali di Bronte, Siracusa e infine Messina. «Credo che il suo intervento sia stato vano e chiaramente una reazione a difesa di un reparto che, sinceramente, secondo l’esperienza vissuta, non merita tutti gli elogi che ha descritto». «Un reparto invece a cui ci sentiamo di dare un parere positivo è stata la Tin del policlinico di Messina, in cui nostro figlio ha vissuto per circa due giorni – sottolinea – Sinceramente dico che, se avessimo saputo l’epilogo, avremmo trasferito sotto la nostra responsabilità molto tempo prima il nostro piccolo da Siracusa». 

«Il dieci per cento dei bambini nasce prematuro, le statistiche parlano chiaro», spiega Francesca La Spada. «Lei si è mai chiesta come mai al Nord Italia le statistiche di sopravvivenza dei prematuri sono in percentile molto più alte di quelle del Sud Italia? – ribatte la mamma di Mattia – Si è mai chiesta come mai una Tin non è fornita di un’attrezzatura di ventilazione adeguata a determinati problemi respiratori? Si è mai chiesta se è corretto trasferire un prematuro per 161 chilometri, con mille rischi, per un ventilatore mancante? Si è mai chiesta il perché di tutta quella strada passando da Catania e non trovando un posto?». 

Dal canto loro, i responsabili delle Asp di Siracusa, Catania e dell’Azienda Policlinico di Messina hanno assicurato che «il sistema d’emergenza per la ricerca di un posto di terapia intensiva neonatale per il nascituro, per il trasferimento in utero susseguente verso l’ospedale Umberto I di Siracusa nella cui Utin è stato individuato il posto disponibile e, infine, al Policlinico di Messina si è svolto con la più assoluta efficienza e celerità». Un iter adesso al vaglio della magistratura, che tra un mese circa dovrà esprimersi sulla sorte dell’inchiesta. Sulle cause della morte del figlio, «che sia stata la prematurità o la negligenza di qualcuno, lo stabilirà la magistratura e non lei o chiunque altro che non conosce i fatti», sottolinea.

La donna catanese spiega che «ci siamo rivolti ai media non per pubblicizzare o denigrare un ospedale rispetto a un altro, ma speriamo che, se ci sono cose che non funzionano come dovrebbero, si prendano i giusti provvedimenti affinché ogni bimbo prematuro abbia le chance che possano aumentare le proprie possibilità di sopravvivenza».  E conclude: «Chissà perché, ogni qualvolta si chiede chiarezza, chiunque denunci fatti accaduti a livello sanitario è sempre da zittire. Allora sarebbe meglio essere vittime e stare in silenzio, dato che molte persone non capiscono il senso di queste parole?». 


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