Maus, ovvero l’Olocausto raccontato a fumetto

La copertina del fumetto capolavoro di Art Spiegelman lascia poco all’immaginazione: dietro a due topi (un maschio e una femmina) si staglia enorme la svastica nazista al cui centro l’immagine stilizzata di un gatto rappresenta Adolf Hitler. Gatti, topi, rane, cani e maiali (riprendendo, forse, l’immaginario orwelliano) fanno la loro comparsa e si muovono in uno scenario che è fatto di linee spesse e a volte incerte per raccontare la storia del padre del fumettista che ha subìto la deportazione, assieme alla moglie, nel campo di concentramento di Auschwitz.
 
Il fumetto, che si volge negli Stati Uniti, è suddiviso in due parti. La prima è intitolata “Mio padre sanguina storia”: narra le vicende del padre prima e dopo l’incontro con la moglie Anja. Una vita borghese con i piccoli problemi quotidiani, Vladek conosce la figlia di un ricco imprenditore polacco, Anja, fino a giungere all’invasione da parte dei gatti-nazisti e della ghettizzazione del popolo ebraico. Sei capitoli che narrano la difficoltà di Vladek a sopravvivere nella Polonia invasa dalle truppe tedesche e alla deportazione. La seconda parte – “E qui sono cominciati i miei guai” – affronta in maniera dura il periodo passato ad Auschwitz fino alla liberazione con la fine della guerra. A fare da cornice alla storia del giovane Vladek, vi è quella del figlio Art che vuole rappresentare in fumetto la storia dell’olocausto disegnando il passato del genitore.
 
I personaggi di “Maus” hanno diverse psicologie: Art recrimina al padre la durezza e le manie con cui affronta la vita (dal risparmio spasmodico dei soldi alle tante pillole per la salute che ogni mattina Vladek prende secondo un certo ordine); Vladek vive ancora nell’ottica del dover preservare e conservare tutto con una tale ossessione che Mala, diventata la sua compagna dopo la morte della moglie, è vista come un’approfittatrice e con cui ha un rapporto tormentato; la madre Anja si toglie la vita perché non è mai riuscita a riprendersi completamente dalla depressione; Richeu è il primogenito dei genitori di Art che muore dopo aver assunto del veleno per scappare alla cattura da parte dei nazisti e sarà una presenza nascosta costante che influenzerà le vite dei protagonisti; ed infine la moglie del fumettista, Françoise, che sostiene e cerca di far ragionare il marito quando litiga con il padre.
 
Nel fumetto vengono anche mostrate le difficoltà e la crisi morale del giovane Spiegelman che vuole disegnare la Shoah ebraica. Si chiede se un fumetto possa raccontare in maniera distaccata una storia così straziante e importante senza snaturarla. Viene anche analizzato il suo rapporto con la madre, che nel 1968 muore, attraverso un fumetto, Prigioniero sul pianeta Inferno – un caso clinico, realizzato per una rivista underground in cui l’autore (all’epoca ventenne) narra le sue emozioni e i suoi incubi il giorno del funerale di sua madre. La particolarità delle immagini è determinata dal fatto che l’autore indossa una divisa da carcerato ebreo, identica a quella del padre Vladek nel periodo di Auschwitz.
 
La simbologia animale utilizzata dall’autore lascia poco spazio all’immaginazione. Si dividono la scena cacciatori e prede: i topi-ebrei e i gatti-nazisti uniti ai maiali-polacchi che sapevano ciò che stava per accadere e che denunciavano i loro stessi amici; compaiono anche le rane-belghe e i cani-americani.
 
«Maus è una storia splendida. Ti prende e non ti lascia più. Quando due di questi topolini parlano d’amore, ci si commuove, quando soffrono si piange. A poco a poco si entra in questo linguaggio di vecchia famiglia dell’Europa orientale, in questi piccoli discorsi fatti di sofferenze, umorismo, beghe quotidiane, si è presi dal ritmo lento e incantatorio, e quando il libro è finito, si attende il seguito con disperata nostalgia di essere stati esclusi da un universo magico». (Umberto Eco)


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