Mafia, i nuovi volti del clan della Stazione «Stiamo facendo il censimento del pizzo»

Erano diventati i nuovi volti della mafia catanese nel nome della famiglia Santapaola-Ercolano. Gli emergenti, benedetti dai vecchi padrini, capaci di tenere sotto scacco il perimetro di strade che tagliano in due Catania da viale Libertà a corso dei Martiri. All’interno del quartiere della stazione centrale, dove avevano organizzato anche la base del gruppo: la sala giochi Katanè in via de Branca. A rivestire il ruolo di capo sarebbe stato, secondo le motivazioni della sentenza che ha inflitto condanne per 171 anni di carcereCristoforo Romano, genero di Giuseppe Zucchero e cognato di Santo e Domenico. Il gruppo, secondo gli investigatori, sarebbe stato controllato direttamente da dietro le sbarre dal boss Giuseppe Pippo Zucchero – arrestato nel 2011 nell’operazione antimafia Libertà – che era riuscito a guadagnarsi un’autonomia totale nei confronti degli altri quartieri di Catania controllati dai Santapaola. Le armi, ad esempio, «era più sicuro procurarsele in Calabria così da non destare sospetti […] e non far conoscere i progetti criminali».

 Siccome stiamo facendo un censimento e non vi disturba nessuno perchè il quartiere è nostro […] allora non ti seccare, 100 euro a bottega e te ne esci

La vera fonte di guadagno era però il pizzo. Tra le vittime indicate nella sentenza anche un bar vicino alla stazione, che avrebbe dovuto finanziare il boss Angelo Mirabile, all’epoca detenuto nella stessa sezione nel carcere di Bicocca con Zucchero e responsabile dei Santapaola nel quartiere periferico del villaggio Sant’Agata. In questo caso i soldi dovevano essere portati al «bar Sant’Agata – scrivono i giudici – di proprietà del fratello di Mirabile». L’estorsione più redditizia è invece quella alla Igm Ambiente di Giulio Dessena Quercioli. A gestirla da anni, secondo gli inquirenti, è Bruno Cavarra – lo «zio Bruno», come veniva chiamato – incensurato e autista della società siracusana che si occupa di smaltimento rifiuti, tramite con Cristoforo per i versamenti del pizzo da cinquemila euro al mese. «Vedi che questa volta sono tutti a 500, stai attento a quando li cambi», spiega l’autista intercettato all’esattore disoccupato. «Gliela faccio sbrigare a mio cugino che ha un negozio di detersivi – replica Romano -, solo fra noi stessi li possiamo cambiare».

Tra le vittime in elenco anche il titolare marocchino di un bazar di articoli di fai da te in via Archimede. La cui espansione commerciale non è passata inosservata. «Lui lo sa che gli stiamo facendo l’estorsione – si legge in un’intercettazione – siccome stiamo facendo un censimento e non vi disturba nessuno perché il quartiere è nostro […] allora non ti seccare, 100 euro a bottega e te ne esci». Nella lista delle scadenze del clan c’era poi il 27 di ogni mese. Con la riscossione di una somma di 400 euro, da aumentare fino a 500, per essere poi destinata agli affiliati detenuti. La vittima è una vecchia conoscenza, già vessato in passato per consentire alla moglie di prostituirsi in una strada vicino alla stazione centrale. Zucchero avrebbe sollecitato il giovane figlio Benny  condannato a 12 anni – ad aumentare la richiesta ma anche le pressioni per ritrattare alcune dichiarazioni rilasciate in udienza. «Mi ha mandato a dire mio papà – si legge nelle intercettazioni – per questo mese è passato ma siccome lui sta rimanendo qua […] 500 euro». 

Secondo i principi di Cosa nostra vige «la necessità di farsi autorizzare dal gruppo competente» prima di commettere illeciti

L’attività di recupero crediti avrebbe riguardato anche il titolare di una concessionaria auto di viale Africa e di un ristorante ad Acicastello. L’uomo, indietro con i pagamenti di alcune migliaia di euro, il 14 febbraio 2012 invita a cena i suoi aguzzini con le rispettive consorti. «Venite stasera dai – dice senza sapere di essere intercettato -, vi aspetto». Ma i presunti affiliati decidono di declinare l’invito, poiché «è il primo san Valentino che siamo in giro». Nella speranza comunque che l’incasso del ristorante, in occasione della ricorrenza, permettesse al titolare di saldare il suo debito. «Stasera avrà il pienone, così i soldi li ha».

Quando si stavano per avvicinare le festività natalizie, invece, il boss Zucchero pensava ai regali. Durante un colloquio nel carcere di Bicocca «incaricava il genero di recarsi da un commerciante per ordinare e ritirare una decina di ceste natalizie». Regali che servivano al gruppo «per monetizzare vendendole o per omaggiare i responsabili del gruppo mafioso del quartiere Civita» con l’obiettivo di «rinforzare i legami tra i due sodalizi mafiosi». Tra i gruppi della famiglia Santapaola ci sono anche «i princìpi» da rispettare. Nell’estate del 2012 si arriva a un faccia a faccia con i responsabili del villaggio Sant’Agata per il furto di uno scooter del proprietario di un supermercato in via Ursino, traversa di viale Libertà. Zona di Zucchero e soci in cui vige «la necessità di farsi autorizzare dal gruppo competente» prima di commettere illeciti.

Tra i vari capitoli della vicenda c’è infine quello riguardante il progetto di un atto incendiario ai danni di una macchina. La colpa della proprietaria, secondo quanto emerge dall’inchiesta, era stata quella di sentirsi sollevata dopo l’arresto del boss Giuseppe Zucchero. Così sarebbe stato proprio il vecchio capo a dare l’ordine dal carcere al cognato. «Lui mi ha detto che lei è arrivata a dire che arrifriscau». Da qui la reazione con le mani che compiono un gesto inequivocabile: ossia versare il liquido e dare fuoco.


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