Il naufragio con 800 morti, trovato il relitto Ispezione nei fondali a largo della Libia

Potrebbe essere arrivata al punto di svolta l’indagine della procura di Catania sul naufragio del 18 aprile scorso, a largo delle coste libiche, in cui, secondo le testimonianze dei sopravvissuti, potrebbero aver perso la vita circa 800 migranti. Il relitto del peschereccio, colato a picco quando si trovava a circa 77 miglia dall’Italia, è stato infatti individuato dagli investigatori. Nel pomeriggio verranno calate alcune sofisticate unità robotiche subacquee, che avranno il compito di riprendere il fondale, il natante e l’eventuale presenza di cadaveri. I numeri al momento parlano chiaro: 28 superstiti – tra cui i due presunti scafisti -, 24 vittime accertate trasferite nell’isola di Malta e un numero imprecisato di morti. Cifre che hanno reso il naufragio una delle più grandi tragedie in mare di tutti i tempi. 

Dal porto di Augusta a seguire le varie fasi dell’ispezione ci saranno anche gli avvocati Giuseppe Ivo Russo e Massimo Ferrante. Rispettivamente legali del presunto scafista tunisino Mohammed Alì Malek, e del siriano Ahmud Bikhit, accusato di essere l’uomo che faceva rispettare gli ordini del capitano. Secondo le testimonianze di alcuni superstiti, sentiti durante i primi incidenti probatori, il naufragio sarebbe da imputare alla manovra errata di Alì Malek nell’avvicinamento al mercantile portoghese King Jacob. L’uomo è accusato di omicidio colposo plurimo, favoreggiamento dell’immigrazione e sequestro di persona con l’aggravante della presenza di minori a bordo del peschereccio. 

Dell’equipaggio, stando ad alcuni testimoni, avrebbero fatto parte anche altri due uomini poi deceduti in mare e rimasti senza identità, ma quasi con certezza di nazionalità somala. Il loro compito sarebbe stato quello di controllare i vari livelli della nave in cui a centinaia erano stipati i migranti, tra cui diverse decine di donne e alcuni minori. Il presunto scafista tunisino, su cui incombe anche un velo di mistero riguardo la vera identità, almeno stando a quanto riferito da un suo parente residente in Tunisia, è l’ultimo tassello di un’organizzazione specializzata nel traffico di esseri umani. Al vertice potrebbe esserci Jafar, conosciuto con il nome del grande direttore. Un misterioso libico con cui, secondo i racconti dei superstiti, Alì Malek avrebbe parlato durante la traversata utilizzando un telefono satellitare. 

Di nazionalità libica sarebbero stati anche gli intermediari che hanno richiesto e incassato dai migranti somme variabili tra 500 e mille dinari per il viaggio. Una traversata iniziata dal deserto e che ha fatto una lunga sosta all’interno di una fattoria nei pressi della città di Tripoli. In questi locali uomini, donne e bambini sarebbero stati stipati alcuni per settimane, altri per diversi mesi, impossibilitati a muoversi perché sorvegliati a vista da uomini armati. 

Proseguiranno intanto anche nella giornata di domani le audizioni dei testimoni. Dopo i primi cinque sentiti negli scorsi giorni, la Procura ha richiesto altri sette incidenti probatori. Il procuratore capo Giovanni Salvi ha fino a questo momento escluso qualsiasi responsabilità da parte del mezzo di soccorso, il mercantile portoghese King Jacob. Il capovolgimento del peschereccio libico sarebbe dovuto alle errate manovre del comandante e, come detto, al conseguente abbandono del timone con i tre urti che hanno causato il disastro. 


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