Evasione, Ciancimino: «Parte del tesoretto di mio padre» Fiumefreddo: «Truffe seriali, il sistema lo garantiva»

«Cinquantaquattro milioni? No, la correggo, sono cinquantanove». Chi si aspettava un Massimo Ciancimino arroccato dietro i no comment rimarrà sorpreso nel constatare come il figlio di don Vito non neghi di rientrare nella lista degli 800 presunti grandi evasori scovati da Riscossione Sicilia e dei quali ha dato annuncio due giorni fa il presidente della Regione, Rosario Crocetta. Quello di Ciancimino sarebbe, infatti, soltanto uno dei tanti nomi illustri che si incontrerebbero scorrendo l’elenco dei furbetti individuati dall’agenzia regionale di riscossione dei tributi, personaggi che nell’ultimo anno avrebbero sottratto al fisco la bellezza di un miliardo di euro.

E se fino a ieri il riferimento a uno dei personaggi più controversi degli ultimi anni rientrava tra le indiscrezioni apparse sulla stampa, oggi è il diretto interessato ad ammettere la verità. Seppur con i dovuti distinguo: «Confermo, sono tra i nominativi segnalati da Riscossione Sicilia – dichiara Ciancimino al telefono – e la cifra ammonta a 59 milioni di euro. Tuttavia, mi preme dire che non c’entra nulla l’evasione, specie a nome mio». Stando alla versione del figlio dell’ex sindaco di Palermo, infatti, la somma imputatagli sarebbe collegata agli affari del padre: «Possiamo dire che rientra tra i lasciti del suo presunto tesoretto – continua Ciancimino –. Perlopiù si tratta di cartelle esattoriali legate ai suoi affari, in quanto, come sapete, in Italia si ereditano anche i debiti, compresi quelli col fisco». Nello specifico, tra i 59 milioni di euro individuati da Riscossione Sicilia ci sarebbero pagamenti di danni causati al Comune di Palermo, connessi tra l’altro con gli affari della Lesca – la società del conte Arturo Cassini che negli anni Settanta si aggiudicò larga parte degli appalti nel settore della manutenzione –, ma anche oneri fiscali, spese processuali e spese di detenzione «accumulate nei nove anni che passò in galera». 

La contestazione per Ciancimino jr, tuttavia, non rappresenta un fulmine a ciel sereno: «Sono a conoscenza della questione dal 2005 – commenta –. All’epoca erano tre milioni. Poi negli anni, con gli interessi, sono diventati 59». Una cifra che il figlio di Don Vito non ha intenzione di pagare, perché anche a volerlo fare, non sarebbe nelle condizioni: «Mi arresterebbero per riciclaggio – ironizza –. Se pagassi una somma del genere, dovrei pure spiegare dove avrei trovato tutti questi soldi. Se li posseggo? Neanche vincendo alla lotteria riuscirei a racimolarli». Un’ultima battuta, infine, sull’essere uno dei pochi indiziati il cui nome è finito sui giornali: «Non voglio entrare in polemica con il presidente Crocetta né con altri – sottolinea Ciancimino – ma far circolare queste notizie senza raccontarne i dettagli non è il massimo, neanche se l’intento è quello di delegittimare un testimone di giustizia. Anche perché – conclude – il sottoscritto non è un evasore, ha sempre pagato tutte le tasse e continuerà a farlo».

Sulla scoperta della gigantesca evasione – «pari a 1,2 per cento del pil della Sicilia» secondo le stime di Crocetta – intanto, è tornato a esprimersi il neo presidente di Riscossione Sicilia, Antonio Fiumefreddo. Secondo il quale gli approfondimenti effettuati da Riscossione Sicilia e dall’Agenzia delle Entrate farebbero emergere un quadro complessivo dove la furbizia del singolo si incastra all’interno di un sistema ben rodato: «Pensare che i singoli si siano mossi solo grazie alla propria scaltrezza sarebbe a dir poco semplicistico – dichiara il presidente di Riscossione Sicilia –. Molto probabilmente, invece, è esistito fino a oggi un sistema che ha permesso a queste persone di agire con una certa serenità. Si tratta di evasori seriali». Nessuna conferma, invece, sui nomi circolati in queste ore che vedrebbero tra gli evasori, oltre Massimo Ciancimino, anche l’ex capogruppo all’Ars dei Popolari di Italia Domani (Pid), Rudy Maira, e il manager canicattinese, Faustino Giacchetto, già al centro dello scandalo Ciapi: «Non mi esprimo sui nomi – ha specificato Fiumefreddo – non mi pare corretto. Ci penseranno le autorità, da parte nostra abbiamo trasmesso i dati alla Procura e alla Guardia di Finanza».

Il numero uno di Riscossione Sicilia, che ha specificato come la creazione dell’Ufficio grandi evasori consentirà una migliore capacità di indagine rispetto al tradizionale ricorso all’anagrafe tributaria, si è poi soffermato sulle possibilità di recuperare le somme che sarebbero state sottratte al fisco: «Ho dichiarato che arrivare a una percentuale del 20 per cento sarebbe già qualcosa – ha chiarito Fiumefreddo – perché bisogna tenere conto delle opposizioni che verranno perseguite dai diretti interessati. In ogni caso si tratta di un inizio da cui partire per fare meglio». Anche perché, conti alla mano, un quinto dell’evasione rintracciata farebbe già bene alle finanze della Regione: «Si tratterebbe di pochi decimali di pil, ma pari alle percentuali che secondo l’Istat sono sufficienti a uscire dalla recessione». Riguardo, infine, alla possibilità che buona parte del miliardo di euro incriminato sia legato a doppio filo con gli interessi della criminalità organizzata, Fiumefreddo si dichiara più che possibilista: «Tanti dei probabili prestanome operano in settori che storicamente sono oggetto di infiltrazione mafiosa. E dietro certi improvvisi arricchimenti non è difficile immaginare la mano di Cosa Nostra». 


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