«I complici», l’atto di accusa di Lirio Abbate

«Questo libro non vuole essere un atto d’accusa giudiziaria (quello è compito della magistratura), ma un atto d’accusa politico, morale e etico a tutti quei politici che hanno aiutato Cosa Nostra durante i 43 anni di latitanza di Provenzano e non solo. Racconta storie basate su atti giudiziari che provano la corruzione, almeno quella morale, di molti politici che si dicono contro la mafia, ma che in realtà sono collusi. Magari per i giudici possono essere cose irrilevanti, ma per noi che dobbiamo votarli no. La gente deve essere informata, noi siamo giornalisti dunque il nostro compito è proprio quello di informare».

Queste le parole del giornalista dell’Ansa Lirio Abbate (costretto a vivere sotto scorta perché minacciato dalla mafia) intervenuto sabato scorso alla presentazione del libro “I Complici. Mafia e politica dalla Sicilia al Parlamento” scritto a quattro mani con Peter Gomez. L’incontro, coordinato dalla giornalista Pinella Leocata, è stato aperto con uno sconsolante sondaggio tra gli studenti medi catanesi: uno su tre trova elementi positivi nella mafia. Questo dato probabilmente nasce dalla mancanza d’informazione che hanno questi giovani su cosa sia davvero la criminalità organizzata e l’incontro di sabato scorso voleva anche questo, informare. Informare soprattutto sulle relazioni criminose tra i mafiosi propriamente detti e tutti “I Complici” che si muovono nelle istituzioni pubbliche che mafiosi non sembrano, ma che in realtà lo sono. «Puntiamo sull’informazione libera – ha detto ancora Abbate – capace di fare arrivare la gente al cuore di molte inchieste, sostenere la magistratura e portare avanti le nostre scelte antimafia. Certo viviamo in una regione in cui il presidente è indagato per favoreggiamento alla mafia, ci sono prove della sua vicinanza con persone mafiose, e questo fa molto male». Abbate ha comunque proposto una ricetta per combattere la mafia, il coraggio di ognuno di noi. «Coraggio, – ha detto – questa parola che ha per radice il cuore è l’unica arma che abbiamo per portare il nostro contributo all’antimafia. Oggi gli imprenditori, i commercianti, stanno iniziando a metterlo in campo e se riusciamo a metterlo tutti  e sempre, forse riusciremo a cambiare qualcosa».

All’incontro di sabato, oltre ai già citati Lirio Abbate e Pinella Leocata erano presenti Orazio Licandro (PdCI), il sindaco di Gela Rosario Crocetta, Margherita Asta presidente dell’associazione Libera di Trapani e parente di alcune vittime di mafia, e il magistrato della Dda di Palermo Gaetano Paci, il quale ha spiegato quali sono le difficoltà che incontra la magistratura nella sua ricerca di accertamento della verità. «Siamo bravissimi ad indagare, ma non facciamo nessuna azione efficace per espellere i colpevoli, soprattutto quando si parla di colletti bianchi. Ancora non si riesce ad applicare la legge per tutti, come invece richiederebbe l’art. 3 della Costituzione italiana, secondo cui tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge. Questo libro dimostra poi come non ci sia una particolare attenzione da parte dell’attività mafiosa di schierarsi da una parte politica o da un’altra. Racconta tante storie giudiziarie che fanno capire  che il tessuto degli intrecci è molto complesso e radicato e va ben oltre i semplici soldati, che invece rappresentano solo la facciata di Cosa Nostra. Pubblicazioni come questa, inoltre, servono a ricordare all’opinione pubblica che il fenomeno mafioso non è circoscritto alle aree depresse del paese che soffrono di sottosviluppo. Dallo sbarco degli  americani del 1943 fino agli inizi degli anni 90, il ricorso a una gestione di tipo mafioso da parte del governo del paese è una costante e le difficoltà odierne della magistratura, se guardate bene, sono le stesse di sempre nel contrasto legale della lotta alla mafia». Il magistrato palermitano ha poi concluso facendo un riferimento alla solitudine in cui si sono ritrovati Falcone e Borsellino, una solitudine che li ha condannati a morte; per questo ha fatto un appello perché «la magistratura non sia l’unica a guidare il treno di legalità che ha già cominciato la sua corsa».

L’incontro è stato concluso da Margherita Asta, la figlia di Barbara Rizzo, la donna rimasta uccisa nella strage mafiosa di Pizzolungo dell’85 insieme ai due figli gemelli Salvatore e Giuseppe, la quale ha portato la sua testimonianza di vittima di mafia, ma soprattutto – concorde con Abbate e Paci – ha parlato di coraggio. Quel coraggio che lei ha avuto quando ha deciso di trasformare la sua rabbia in impegno e che aumenta sempre più quando nota l’interesse dei giovani girando nelle scuole. «Il mio impegno acquista una spinta sempre più forte quando incontro gente che crede in una società giusta. La politica in tutto questo dovrebbe fare la sua parte, ma in verità questi politici pensano solo alla poltrona e non al bene della collettività. Certo bisogna fare i distinguo, ma questa è la sensazione generale». Margherita Asta ha poi invitato tutti a partecipare a un seminario di presentazione di un osservatorio contro la mafia il 5 dicembre presso la sala Russo della Camera del Lavoro.


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