Storia di un nubifragio, i catanesi e la crisi «Ahi, quanto mi costa ‘sto pezzo di mare!»

Un sabato pomeriggio di sole, da trascorrere al mare, che in pochi minuti si trasforma in un nubifragio. Località Praiola, una striscia di spiaggia, tutta ciottoli, tra Stazzo e Riposto. Due amici quasi trentenni corrono veloci in auto per ripararsi dalle prime gocce di pioggia. «È solo un acquazzone estivo – dice uno, guardando i nuvoloni grigi farsi sempre più minacciosi – aspettiamo che scampi». Ma in pochi minuti si alza il vento, scoppiano i tuoni, cadono i fulmini, viene giù la grandine e la strada del ritorno diventa un fiume in piena. I due restano bloccati. Come una ragazza e un ragazzo che però, arrivati in motorino, non trovano rifugio al coperto. Sono zuppi d’acqua, che il vento butta loro addosso. «Ehi – gridano dalla macchina – venite dentro, forza!». È l’inizio di una chiacchierata, imprevista come il temporale, che durerà diverse ore.

Lui è un agente di commercio, ha più di 35 anni: «Mi spiace – si scusa appena seduto nel sedile posteriore -, sto assappanando tutta la tappezzeria». Lei è poco più piccola, «siamo qui da mezzogiorno – dice, quando l’orologio dell’auto segna le sedici – . E pensare che il meteo portava solo una pioggerellina». Entrambi vivono a Catania. Sotto il nubifragio i cellulari non hanno copertura. L’autoradio non prende nessuna stazione, nemmeno radio Maria. La conversazione è il solo modo per ingannare il tempo. Fatte le presentazioni, lui inizia a parlare del suo lavoro, «dei sacrifici che ho fatto e che continuo a fare» in un settore che «per fortuna non ha risentito della crisi». Ma dove in passato «era difficile lavorare, almeno per le persone oneste».

Tutti e quattro, siciliani, più o meno coetanei, condividono «un futuro basato sull’indipendenza economica», che tuttavia «la mancanza di opportunità rende complicato costruire in Sicilia e non altrove». Soldi ne servono, ma ne girano pochi. Lei deve «incastrare tre lavori per raggiungere la somma mensile che mi serve per essere autonoma». E non è detto «che tutti i datori di lavoro paghino, anzi». Mentre la pioggia continua a battere forte sulla carrozzeria, lui deve alzare la voce per dire: «Non so lei come riesca a fare tutto con sole 24 ore al giorno a disposizione». Ma, risponde la ragazza, «se non lo faccio alla mia età, credo che non avrei le forze per farlo in futuro». E anzi pensa presto di aggiungere pure un corso per abilitarsi a una nuova professione.

Alle sei del pomeriggio il temporale è tornato una pioggerellina. Al finestrino dell’auto, finalmente aperto per fare entrare un po’ di frescura, si avvicina il proprietario del chiosco non distante dalla battigia. È un uomo sulla settantina, capelli bianchi, ricci, volto scurito dall’abbronzatura e spaccato dalle rughe. «Anche questa volta l’ho scampata», confida ai quattro con un sospiro di sollievo. «Basta un attimo – continua -, due onde più alte del solito e il mare si porta via tutto quello che ho». In trent’anni di questo lavoro gli è già accaduto quattro volte. E ricorda ogni data del disastro. «Dormo in quel furgoncino – dice indicandone la portiera verde – per tutta l’estate». Poi si commuove. La voce gli si spezza. Gli occhi sono piene di lacrime, cerca di trattenerle. «Ahi, quanti sacrifici mi costa ‘sto pezzo di mare!».

L’uomo torna al suo chiosco. Il temporale è ormai passato. I quattro si salutano con la promessa di una birra e un nodo alla gola: «Ma come siamo messi se le persone piangono per strada?».


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