Carmen Consoli, il concerto a Taormina Storie di donne, mafia e amori imperfetti

«Benvenuti anzi, bentornati», è il saluto rivolto da Carmen Consoli al pubblico che l’ha attesa per cinque anni. La cantantessa non ha perso L’abitudine di tornare. Né lo stile che le ha fatto scegliere questo titolo per il suo ultimo album e per il tour che ieri l’ha riportata al teatro antico di Taormina. Oltre due ore di concerto, tra brani nuovi e di repertorio, in cui protagoniste sono state la femminilità e la sicilianità. Interpretate dall’artista catanese anche attraverso il parlato, le citazioni, i costumi, le scenografie che hanno accompagnato lo spettacolo. Unico uomo sul palco è stato il giovane e applaudito Giovanni Caccamo, che ha riscaldato il teatro con alcuni suoi brani e l’interpretazione di La sua figura, dedicata a Giuni Russo.

Capelli neri raccolti in una coda di cavallo, due ciocche sul viso, ciglia lunghissime. Una vistosa collana sopra l’abito scuro, sulla spalla sinistra la tracolla che regge la sua Starcaster. Scarpe rosse col tacco allacciate alle caviglie, ai suoi piedi ci sono i pedali di effetti e distorsioni elettroniche. Urla e applausi del teatro, pieno per più della metà, accolgono l’ingresso della cantantessa sul palco di Taormina, che rimane al buio fino alla prima nota della sua chitarra elettrica. In una notte siciliana di luna piena, apre il concerto intonando Casta Diva. L’aria musicata da Vincenzo Bellini e cantata da Norma.

La citazione della sacerdotessa belliniana, che ha tratti simili alle protagoniste dei testi della cantante, alza il sipario sulla prima parte dell’esibizione. Dedicata alle molteplici sfaccettature dell’essere donna e alla libertà di amare e odiare (un uomo, un’altra donna, sé stessa o il denaro), descritte in Geisha e Ottobre, Sentivo l’odore, L’abitudine di tornare, Matilde odiava i gatti, Fino all’ultimo. Ma che affronta anche le «condizioni avverse – dice l’artista, che dal palco ricorda il numero verde anti-violenza 1522 – da denunciare subito». Storie di abusi, stalking e femminicidio, raccontate da Mio zio e La signora del quinto piano, «attitudini in crescita che fanno parte della subcultura di sopraffare il più debole». Senza dimenticare, con Per niente stanca, il tema dell’Hiv e del diritto di amare ed essere amati in salute e in malattia.

La scenografia è essenziale, fasci di luce colorata e strumentazione vintage. Lascia spazio alla finestra del teatro, che affaccia sul profilo del golfo di Taormina e dell’Etna, illuminati dalle luci artificiali. Consoli è accompagna da Luciana Luccini al basso e Fiamma Cardani alla batteria. Formazione tutta femminile alla quale si aggiungono gli strumenti delle otto Malmaritate. Le componenti del gruppo femminile entrano in scena in corteo, vestite da sposa, al battere del tamburo. Riempiono l’intervallo con la seconda parte dello spettacolo, dove c’è spazio anche per la nuova Esercito silente. Che canta di Palermo e del legame tra mafia e Stato «che – nel testo della canzone – posa una ghirlanda tricolore con su scritto assente».

C’è malinconia, ironia, rabbia e ostinazione nei caratteristici sospiri con cui l’artista interpreta storie di sentimenti intensi e imperfetti, spesso senza lieto fine. La scaletta è molto simile a quella seguita qualche giorno prima al Meltdown Festival di Londra. Ventitré canzoni, sei tratte dal nuovo album, che terminano con Besame Giuda dopo due uscite dal palco e altrettante richieste di bis. Alla fine c’è spazio per i successi più acclamati dal pubblico, che in buona parte è già in piedi. Sulle note de L’ultimo bacio si rivede persino la fiamma di un accendino tra le luci di tanti smartphone. Due ragazze di stringono la mano. Un’altra, dopo qualche parola al cellulare, lo porge verso la musica. Una coppia si bacia, nella fila sopra un ragazzo canta a bassa voce. Quando si accendono le luci anche sulla platea, spazio a inchini, saluti, ringraziamenti. Carmen Consoli lancia un bouquet di fiori secchi, «si scanzanu tutti», dice. Applausi. Il concerto è finito.


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