Unict, Antonio Pioletti lascia l’insegnamento «Continui tagli, ma il sapere non è una merce»

«Sono convinto che la Filologia non sia una materia polverosa. È un habitus mentale, lo sviluppo di una capacità critica, la ricerca della veridicità del documento». Un percorso che va oltre gli studi comparati di letteratura, ma spazia dalle questioni sindacali all’attenzione per i temi legati al territorio. Antonio Pioletti – ex prorettore, preside fondatore dell’ex facoltà di Lingue, da vent’anni ordinario di Filologia di Unict – lascia la docenza attiva. «Sono abbastanza contento – confessa a MeridioNews – Negli ultimi anni ho ritenuto opportuno proporre dei corsi su tematiche di grande attualità: l’alterità, l’amore nelle letterature, la biblioteca di Eros». Tenendo sempre presente la ricerca della verità. «E questo riguarda anche il mondo dell’informazione – spiega con un sorriso – Un esempio è quello che ha fatto Step1 (testata edita da Lingue che ha formato alcuni dei redattori di MeridioNews, ndr) quando ha dimostrato che non era vero che due romeni volevano rapire una bambina». E nonostante non sia una chiusura totale di carriera – «in fondo è un lavoro che continua a tenerci impegnati, non si lascia mai davvero» -, sarà il rapporto quotidiano con i colleghi e gli studenti «la cosa che mi mancherà di più».

In che condizioni si trova l’università pubblica oggi?
«Il mio giudizio è fortemente negativo. È invalso un paradigma che misura il sapere rispetto alla sua spendibilità immediata, come se fosse una merce. È un’impostazione del tutto fuorviante della funzione dei saperi. Come la stessa disciplina dei crediti, dei cfu».

E a livello organizzativo?
«Siamo in presenza di una burocratizzazione soffocante della vita universitaria. Nell’arco di tutto l’anno ci sono procedure che distolgono da quello che dovrebbe essere più importante, e cioè discutere dei contenuti dell’insegnamento. Porre lo studente al centro del processo formativo, non solo a parole. A questo aggiungiamo i tagli alla ricerca, alle borse di studio, ai dottorati».

Come si colloca l’ateneo di Catania in questo quadro generale?
«Vive le contraddizioni del tessuto nazionale. Le università del Sud sono molto penalizzate perché, per valutarle, si usano parametri che qui non hanno senso, come il numero degli stage o a quanti anni i laureati trovano lavoro. Se c’è disoccupazione giovanile, non è colpa dell’università. Devo dire che, in particolare con la nuova amministrazione, abbiamo un’università più attenta ai processi democratici, molto più collegiale rispetto al passato». 

Il rettore Giacomo Pignataro ha selezionato il suo nome tra i delegati, affidandole il rapporto con il personale. Qual è il bilancio di questa attività?
«Abbiamo realizzato diverse cose: abbiamo stipulato i contratti d’ateneo, stiamo partendo con i bandi per la progressione orizzontale, lavoreremo a breve per il contratto 2015. C’è un rapporto molto aperto con i rappresentanti dei lavoratori, con le rappresentazioni sindacali».

Lei è stato preside fondatore della facoltà di Lingue, con le due sedi di Catania e Ragusa. Un progetto che si è consumato tra polemiche e dissapori – che hanno visto tra i protagonisti l’ex rettore, Antonino Recca – e che si è chiuso con il mantenimento di una struttura speciale iblea e alcuni corsi nella sede principale. Qual era lo spirito dei primi anni di attività?
«Non è stata una nuova facoltà, ma una facoltà nuova. Credo sia stata tra le prime realtà universitarie a capire la necessità di essere orizzontale, aperta alla società. Da qui tutte le iniziative che abbiamo inaugurato, dal Learn by movies (le proiezioni di film in lingua originale, ndr) ai Medialab (corsi teorico-pratici sulla comunicazione, ndr). Un’esperienza altamente positiva anche a Ragusa, dove didatticamente le cose andavano abbastanza bene». 

Cos’è accaduto?
«C’è stato il tentativo di politiche clientelari di pretendere la chiusura di Lingue a Catania. È stato sventato, abbiamo limitato i danni, tanto è vero che nel capoluogo etneo restano i corsi, così come la struttura didattica speciale a Ragusa. Siamo riusciti a evitare scelte senza senso. L’interesse delle lingue straniere è strategico, trasversale. Così come lo è il rapporto con il mondo orientale». 

Un tema strettamente connesso a quanto accaduto per Lingue è il decentramento. Altre strutture sparse nel territorio sono state chiuse con non poche polemiche. La scelta a monte è stata sbagliata? I territori non erano pronti?
«C’è stata una fase, più o meno nel 1998, in cui il ministero incentivava i decentramenti per alleggerire le strutture centrali. Quando era rettore Enrico Rizzarelli (dal 1994 al 2000, ndr) i decentramenti si facevano con molta oculatezza. Successivamente visioni clientelari hanno portato ad aprire spesso sedi senza che ce ne fossero le condizioni, danneggiando invece quelle che avevano un senso. È mancata una programmazione seria che riuscisse a capire in certi territori quali fossero le vocazioni». 

Può fare qualche esempio?
«Aprire Giurisprudenza a Ragusa, quando a Modica c’era Scienze dell’amministrazione, è stata una scelta per dare contentini a potentati politici locali. Beni culturali a Siracusa è stata un’occasione sprecata, gestita male dall’allora facoltà di Lettere. Poi c’è Medicina a Ragusa: come si fa ad aprire senza avere i reparti dove fare la specializzazione e il tirocinio?». 

Sembra quanto sta avvenendo a Enna con il corso di Medicina in lingua romena.
«Siamo in presenza di una scelta folle, che lascia sbigottiti. Mi auguro che venga bloccato». 

Lei è il promotore di una serie di corsi interdisciplinari avviati insieme a enti e associazioni. Uno di questi – su Territorio, ambiente e mafia – è intitolato alla memoria del magistrato Giambattista Scidà. Com’è andata?
«La città ha risposto abbastanza bene e i laboratori proseguiranno anche il prossimo anno. Quello sugli studi di genere continuerà, così come quello intitolato a Titta Scidà. Il prossimo anno accademico ne partirà uno che inaugurammo ai tempi di Lingue e che oggi è di grande attualità: un ciclo di nove incontri sul temaConoscere il mondo arabo-islamico. Sarà aperto alla città con insegnanti e associazioni che lavorano su temi dell’immigrazione». 

È un tema di stretta attualità. Che ruolo può avere l’università?
«È un mondo che va studiato. Sono tematiche in cui anche un allievo di Chimica o Fisica è chiamato ad avere conoscenze e che formano al di là della specializzazione degli studenti».


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