Mafia, ergastoli per gli omicidi Fichera e Maugeri Dietro la faida del 2008 droga, tragedie e pentiti

Girolamo Ragonese e Biagio Sciuto, processati e condannati per l’omicidio di Sebastiano Fichera e Raimondo Maugeri, pagano con l’ergastolo. Ruoli diversi, quelli degli imputati, ma destini paralleli. Ai giudici della corte d’Assise sono servite quasi dodici ore per decidere. Nell’aula – dedicata all’avvocato Serafino Famà – il verdetto di primo grado arriva a sera inoltrata quando le lancette degli orologi segnano le 22. Una lunga e snervante attesa, iniziata di mattina, a cui partecipano i parenti degli imputati. Quasi cinquanta persone, che spezzano la tensione e coprono la voce del presidente Rosario Cuteri, con pianti e singhiozzi, quando per due volte pronuncia la parola «ergastolo». Gli imputati restano impassibili, almeno fino al momento in cui gli agenti della polizia penitenziaria li portano fuori dalle gabbie. È questo l’attimo in cui Ragonese si lascia andare e apostrofa con una minaccia il magistrato Pasquale Pacifico. La reazione coinvolge anche qualche familiare che, prima di essere accompagnato fuori dai carabinieri, punta il dito contro l’accusa, sostenuta in aula anche dalla pm Lina Trovato.

Oltre a Sciuto e Ragonese sul banco degli imputati, ma fisicamente assenti, ci sono anche quattro collaboratori di giustizia. Per loro la corte non fa sconti. Gaetano D’Aquino è stato condannato a otto anni e tre mesi, Natale Cavallaro a 16 anni e 9 mesi, Gaetano Musumeci a 30 anni e infine Vincenzo Fiorentino a 14. Tra gli imputati, però, l’unico a parlare in aula prima del verdetto è Biagio Sciuto. «Io sto pagando le colpe di tante chiacchiere – dice l’anziano boss, prendendosela con i pentiti – Io sono vittima dei collaboratori». 

L’omicidio di Sebastiano Fichera viene commesso il 26 agosto 2008, in via Cairoli nel quartiere di Nesima. La vittima viene affiancata dai sicari mentre si trova a bordo del suo scooter. Gli sparano con una pistola calibro 7,65, colpendolo con precisione in testa e alla schiena. Fichera è un personaggio emergente della mafia a Catania, con alcune condanne alle spalle, e al momento del delitto è ritenuto organico alla cosca degli Sciuto-Tigna. Per trovare la chiave di volta dell’omicidio, gli inquirenti scavano nel sottobosco del traffico di droga, dove la vittima si stava ritagliando spazi sempre più importanti. Da alcuni mesi era entrato in affari con il clan rivale dei Cappello. Una comunanza d’interessi che non sarebbe stata gradita all’anziano padrino Biagio Sciuto il quale, secondo la ricostruzione dei magistrati della procura di Catania, avrebbe commissionato l’omicidio

Per gli inquirenti si rivelano preziose le intercettazioni registrate alcune settimane dopo il delitto, davanti alla tomba di Fichera. È nell’intimità del cimitero di Catania che la vedova Agata Aurichella commenta insieme alle cognate i possibili collegamenti che si celano dietro l’omicidio. Allusioni e ipotesi che hanno come destinatari l’ambiente dello stesso clan Sciuto. Secondo i familiari, Fichera non aveva versato parte dei proventi del traffico di droga nelle casse della cosca. Il 14 novembre dello stesso anno in cui viene commesso il delitto, mentre la moglie di Fichera è intenta a pulire la tomba del marito insieme alla cognata Carmela, arriva il boss del clan Cappello Sebastiano Lo Giudice. Una telecamera immortala i gesti e le voci di quella mattinata. Agata Aurichella chieda al boss «Se n’è andato?». La risposta arriva con un semplice sorriso. Un riferimento, secondo gli investigatori, a un delitto che quella stessa mattina avviene a piazza Risorgimento. A morire crivellato di colpi è Giacomo Spalletta, considerato uno dei killer di Fichera. 

Il nome di Fichera è finito anche in un verbale in cui il pentito Gaetano D’Aquino parla di voti e politica. Un passaggio che, proprio in questi giorni, è stato citato durante le dichiarazioni spontanee dell’ex governatore Raffaele Lombardo, nel processo in cui poi è stato assolto per voto di scambio semplice. Prima di essere ammazzato, Fichera avrebbe ricevuto da un candidato alle regionali del 2008 la promessa del pagamento di 120mila euro. Il nome fatto da D’Aquino è quello di Ascenzio Maesano, attuale sindaco di Aci Catena, in quella tornata elettorale candidato per il Pdl. Dichiarazioni che avevano portato Maesano ad annunciare una denuncia per calunnia nei confronti del collaboratore.  

Da un omicidio all’altro, la scia di sangue non si ferma. Così come le indagini. Il 3 luglio 2009 a morire nel quartiere di Zia Lisa è Raimondo Maugeri. Un boss di Cosa nostra dei Santapaola in ascesa, al vertice nel quartiere del villaggio Sant’Agata. Una storia di sangue che si lega alle fibrillazioni che in quel periodo viveva la mafia alle pendici dell’Etna. L’omicidio, secondo le dichiarazioni dei collaboratori, viene organizzato per «creare scompiglio» e gettare le basi per la successiva eliminazione del boss Nuccio Mazzei. Mai avvenuta. 


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