Il vecchietto in bici, domenica il ricordo «Una pedalata da Catania a Nicolosi»

«Non guardava mai la strada che aveva davanti». Capelli bianchi e un berretto scuro – per proteggersi quando dalla pioggia quando dal caldo – a testa bassa spingeva la sua bicicletta per tutti e 15 i chilometri di salita che univano la casa dove abitava – a Catania – col terreno che coltivava, vicino a Mascalucia. «E non voleva l’aiuto di nessuno». Ogni giorno, per tutti i suoi ultimi sessant’anni, questa è stata la vita di Orazio Di Grazia. Si chiamava così l’uomo che molti catanesi avranno incrociato almeno una volta lungo la strada che collega la città ai Comuni pedemontani, ma che chiunque di loro ricorda come il vecchietto in bici. È venuto a mancare a 84 anni, il 4 novembre di sette anni fa. L’associazione Lungomare liberato, in collaborazione con Ruote libere e piazza Stesicoro Liberata, domenica lo commemora con una pedalata. 

«Partiremo dal Duomo di Catania alle 11 – spiega Alessio Marchetti, uno degli organizzatori -, passeremo dalla sua abitazione, che si trova in via Nuovalucello, e arriveremo fino a Nicolosi», alle 16.30 circa. I partecipanti ripercorreranno in fila indiana la strada che Di Grazia macinava quotidianamente «con gli scarponcini di gomma ai piedi e – racconta chi l’ha conosciuto – una bicicletta carica di ortaggi, frutta e arnesi di lavoro». Messi tutti dentro una cassetta rossa, legata al portapacchi. Dopo essere stato investito da un’automobile – e ricoverato in ospedale – decise di indossare un giubbotto catarifrangente arancione. Particolare che ha reso la sua figura e la sua fatica ancora più evidenti agli occhi di pendolari e residenti.

Tra questi c’è Alessandro Marinaro, che al vecchietto in bici ha voluto dedicare un lungometraggio. Racconta la storia «di un uomo straordinario, fuori dal tempo – spiega il regista – che amava la bicicletta, la natura e soprattutto Graziella». La ragazza che avrebbe voluto sposare ma che invece – per volontà della famiglia – andò in moglie a un cugino ricco, mentre Di Grazia era partito per la seconda guerra mondiale. «Non ebbe notizie dell’amata per due anni. Tutte le lettere che le spedì furono stracciate dal padre di lei che – aggiunge Marinaro – le disse che lui era morto». Ma invece disertò, tornò in Sicilia e la incontrò di nuovo; «ma non era la ragazza che ricordava, per il dolore di averlo perso aveva smesso di mangiare». Morì pochi mesi dopo «e Orazio trasformò il lutto nel senso di colpa per non essere riuscito a proteggerla». 

Da allora in avanti «sostenne che Dio lo aveva condannato a spingere la sua bicicletta come lungo una via Crucis – continua il regista – ma allo stesso tempo, nel suo amore per la bicicletta riusciva a sentirsi libero». Nel documentario Di Grazia spiega: «Graziella non si è potuta godere la vita, non voglio godermela neanche io». Il campione di ciclismo Eddy Merckx disse un tempo di avere fatto dieci volte il giro del mondo, correndo con la sua bici. «Orazio era certo di averlo battuto – racconta Marinano – diceva “Io, da contadino, il giro del mondo l’ho fatto quattordici volte“». Nel ricordo di chi lo ha conosciuto «resterà un esempio di libertà, semplicità, poesia, forza di volontà – conclude il regista – che ci deve fare riflettere su quanto la nostra società si sia omologata al conformismo».

La bici sotto il vulcano (2007) from Alessandro Marinaro on Vimeo.


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