Paternò, la festa dopo l’inchino a casa del boss Il parroco: «Data rilevanza nazionale alla mafia»

In un clima di indignazione e rabbia, dopo l’annacata di due cerei dinanzi alla casa del pluripregiudicato Mimmo Assinnata, ritenuto vicino alla famiglia di Cosa nostra dei Santapaola, sono entrati nel vivo i festeggiamenti di santa Barbara. Eppure la festa, soprattutto ieri mattina, con il tradizionale percorso dalla chiesa dedicata alla patrone a quella di piazza Sant’Antonio, si è svolta in un clima surreale, dimesso, quasi di rassegnazione: «C’è poca gente distratta, non si respira quell’aria di festa che da sempre ci caratterizza durante questi giorni – spiegano a MeridioNews due portatori di cerei degli operai e dei camionisti – Si pensa e si parla di più dell’inchino». Una vicenda che inizialmente ha spiazzato le istituzioni locali, che adesso provano a reagire. E per la prima volta parla anche la chiesa paternese: «Paternò non è mafiosa», dice padre Enzo Algeri, vicario foraneo.

«L’episodio dell’annacata delle varette ha rappresentato un fatto gravissimo senza dubbio da condannare e stigmatizzare». Ad affermarlo è l’assessora alla Cultura del Comune di Paternò Valentina Campisano. A fermarsi sotto casa del boss sono stati due cerei, quello degli Ortofrutticoli e quello dei dipendenti comunali, accompagnati dalla musica del film Il Padrino. Le due varette sono state escluse dai festeggiamenti su ordine del questore Marcello Cardona che, «su segnalazione del comando provinciale dei carabinieri» ha ritenuto l’episodio una chiara manifestazione della forza «intimidatrice, tipica del potere mafioso». 

Per dire no alla mafia l’assessora Campisano ha organizzato per oggi una manifestazione, da svolgersi proprio in concomitanza con le celebrazioni patronali, con l’intenzione di dimostrare «che i cittadini onesti vogliono far sentire con forza la propria voce e il proprio disgusto per questi fatti incresciosi». A questo proposito, da segnalare il gesto degli altri portatori di cerei: tradizione vuole che all’uscita del fercolo le varette si inchinino davanti a Santa Barbara. Stavolta hanno invece messo da parte la candelora e si sono inchinati personalmente. «Approfittare della festa in onore dalla nostra patrona per veicolare messaggi contro la legalità, e di compiacenza verso la cultura mafiosa, costituisce un atto intollerabile per la comunità paternese. Faremo tutto ciò che è in nostro potere per impedire agli autori del gesto di partecipare, in futuro, a qualsiasi iniziativa legata alle celebrazioni in onore di santa Barbara», dicono il sindaco Mauro Mangano e la presidente del consiglio comunale, Laura Bottino

Ma la voce che mancava, fino a questo momento, era quella della chiesa. «Il fatto è avvenuto in un momento in cui i cerei hanno una certa autonomia nei movimenti», spiega padre Algeri. «La responsabilità delle varette non è della parrocchia o del parroco, ma del singolo coordinatore del cereo – prosegue il sacerdote – Chi porta i cerei lo fa solo dopo il benestare del parroco, che porta la lista ai carabinieri. Se qualcuno ha carichi pendenti viene subito escluso». Ma la vicenda dell’inchino, secondo il prelato, non avrebbe dovuto causare tutta questa attenzione. «A mio avviso con questo fatto si è data rilevanza nazionale a un mafioso. Paternò non è mafiosa, Paternò è altro. Sono uomini e di donne che rendono grande la nostra città».

Abbiamo provato a sentire anche l’arcivescovo di Catania Salvatore Gristina. La curia di Catania in meno di un anno è stata coinvolta in due episodi simili. Prima a Catania per sant’Agata, adesso a Paternò per Santa Barbara. Contattato telefonicamente, un collaboratore del vescovo ha riferito che Gristina era impegnato in un’altra cerimonia religiosa. E che oggi celebrerà il pontificale proprio a Paternò. Un momento atteso dai fedeli e da tutta la città, per conoscere il pensiero della massima autorità religiosa etnea sulla vicenda.


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