Purità, l’occasione mancata dell’Antico corso La storia vista dai lati opposti della barricata

Per anni sono stati dalle parti opposte delle barricate, a dividerli il cantiere della Purità. A unirli la passione per un quartiere, l’Antico corso, e l’opera di uno degli architetti contemporanei più importanti, Giancarlo De Carlo. Da una parte Antonino Leonardi, geometra dell’ufficio tecnico dell’università, braccio destro di De Carlo nell’opera di recupero dell’ex monastero dei Benedettini. Dall’altra Ciccio Mannino, presidente di Officine culturali – che cura proprio le visite nel complesso monastico -, tra i fondatori del comitato Antico corso e componente del centro popolare occupato Experia. I due si sono incontrati per la prima volta sulla collina dove avrebbero dovuto sorgere due aule da 600 posti ciascuna da destinare alla facoltà di Giurisprudenza. Un progetto da finanziare con i fondi comunitari Urban e che ormai è abbandonato. 

Leonardi davanti a sé ha una cronologia che ripercorre la storia della struttura all’angolo tra via Plebiscito e via Santa Maddalena. «La Purità resta conservatorio fino ai primi del ‘900», racconta. Poi, negli anni del regime fascista, «Catania si vanta di avere la più grande casa del balilla». Dopo la guerra la chiesa, oggi trasformata in auditorium, e il terreno confinante restano proprietà dell’ex educandato, mentre il resto viene incamerato dalla Regione. Quest’area in parte viene destinata alla scuola Manzoni, l’altra ala – compreso il grande cortile dove si realizzavano le adunate – è affittato al cinema-arena Experia, che nel 1992 diventa centro popolare occupato.

Negli anni Novanta si arriva al periodo di massima espansione della popolazione universitaria, con più di 60mila iscritti, e la facoltà più importante diventa Giurisprudenza. Villa Cerami e l’edificio di via Gallo in breve non bastano più. «Si scopre che la chiesa e il terreno della Purità sono abbandonati e l’università inizia a trattare per l’acquisto». Prende forma l’idea di creare un polo formato da una serie di edifici e la realizzazione è affidata a Giancarlo De Carlo. Si affaccia la possibilità di usufruire dei fondi Urban, destinati dall’Ue al recupero dei centri storici, e Unict riesce a inserire la Purità. È il 1999 e i primi tecnici arrivano a studiare la zona. 

«Vedevamo dall’arena Experia questi movimenti. Ma li notavano anche i proprietari degli immobili dell’Antico corso», afferma Ciccio Mannino. «La maggior parte degli abitanti del quartiere era in affitto: al presentarsi delle ruspe corrispondono una rivalutazione del mercato immobiliare e gli sfratti». I residenti si aggregano e anche gli attivisti dell’Experia vengono coinvolti sempre più, tanto da aderire al nascente comitato. «Davanti a tutto questo, viviamo l’operazione dell’università come una sorta di Monopoli», dice Mannino. «Un’azione di compravendita immobiliare che secondo noi teneva conto delle esigenze di spazio, ma non di una politica generale di gestione del territorio urbano». Poi attacca: «Su questo la colpa, secondo noi, non era tanto dell’ateneo, quanto del Comune». Gli fa eco il geometra: «È il Comune ad avere la responsabilità di gestire il territorio, non l’università – precisa – L’ateneo, in questo caso, è come se fosse un privato».

La situazione si complica ulteriormente quando durante gli scavi emergono dei reperti archeologici di epoca romana. Secondo una prima valutazione, si tratta dei resti di un’antica fabbrica di lanterne. Ma quando si fa spazio l’ipotesi di ritrovamenti più importanti – mura normanne e una torre aragonese, oltre a testimonianze di epoca calcidese – l’allora assessore ai Lavori pubblici Antonio Fiumefreddo revoca in autotutela i permessi a Unict. Decretando così la fine dell’opera. «Avevamo già l’esperienza dei Benedettini – interviene Antonino Leonardi – dove il ritrovamento di beni archeologici ha fatto bloccare tutto, ma lì siamo riusciti a modificare il progetto. Abbiamo provato anche alla Purità, ma senza permessi era impossibile». 

Secondo il tecnico «il quartiere, compreso il comitato, è stato strumentalizzato». Diverso il parere di Mannino. «È indubbio che l’università avesse bisogno di spazi e si è messa nelle mani di un ufficio tecnico che veniva già da un’esperienza forte come quella del monastero – riflette – Non ci siamo mai seduti con loro per ragionare del progetto e dell’impatto che avrebbe avuto sugli abitanti del quartiere. Mai». Dopo il blocco dei lavori, «si sono susseguite una serie di conferenze dei servizi nei quali si parlava sempre meno del cantiere della Purità e sempre più del ruolo del Comune rispetto a un piano di recupero dell’Antico corso». Un’operazione, anche questa, mai partita. «Paradossalmente il Comune diventa due volte responsabile – sostiene Ciccio Mannino – nei confronti dell’università per il blocco dei lavori e perché innesca un processo di degrado del cantiere che non è più recuperabile». «È stata una grande occasione persa per il centro storico di Catania – conviene Antonino Leonardi – con un dispendio di energia e denari».


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