«Catania, democrazia da serie C»

Secondo Orazio Lanza, docente di Scienza politica all’Università di Catania, le Amministrative del 15 e 16 giugno sembrano aver archiviato alcune delle novità che erano state messe in evidenza negli anni Novanta: «Nel 2005 viene archiviato Enzo Bianco e nel 2008 accade, in qualche modo, a Nello Musumeci. La parola sembra tornata ai partiti ed in particolare a oligarchie partitiche che hanno forti agganci con la cosiddetta Prima Repubblica. La competizione a Catania è limitata a ex-democristiani e a ex-missini che convivono nello stesso schieramento».

Partiamo dal dato, significativo, dell’affluenza: -7,33% rispetto alle Comunali del 2005 (più contenuto per le provinciali: -3,88% rispetto al 2003). Tanti per un’elezione diretta del sindaco. Come si spiega? E quali elettori hanno, secondo lei, disertato le urne? Dai dati sembrerebbero i delusi del centro-sinistra e della sinistra…
«Non esiste un’analisi particolareggiata, in questo momento. È condivisibile il parere sull’astensionismo che si è verificato nel centro-sinistra piuttosto che nel centro-destra. L’ipotesi probabile è che ci sia una forte disaffezione, anche perché la competizione dei candidati sindaci non ha presentato dei personaggi talmente affascinanti da farsi dare l’attenzione. Facendo una valutazione – ma è da provare con dati empirici – sembra che ci sia stato un maggior calo di attenzione nel centro-sinistra». 
 
Musumeci ha convinto con l’appello al voto disgiunto. Guardando i dati: Musumeci prende il 25 e rotti per cento, ma la sua lista si ferma al 12-13%. D’altra parte Stancanelli è al 54, ma le liste collegate sfiorano il 67: la differenza fa esattamente il 13%. Un travaso perfetto insomma. Anche se alcuni opinionisti (e lo stesso Musumeci) parlano di voti di opinione provenienti dal centrosinistra e sinistra. Lei che ne dice?
«Condivido pienamente l’analisi. Non c’è dubbio che Musumeci sia stato beneficiario, in primo luogo, di un voto disgiunto probabilmente dall’area di centro-destra. La mia impressione è che sia stato in parte guidato da qualche altro leader dello schieramento Pdl-Mpa-Udc, perché – effettivamente – un voto disgiunto non è da sottovalutare: rappresenta i rapporti tra i politici e il centro-destra. D’altra parte, non è del tutto errato pensare che qualche elettore del centro-sinistra, ritenendo non possibile una vittoria di Burtone, abbia voluto incidere e mandare un segnale votando Musumeci. Ma si tratta di un fenomeno minore».

Sempre a proposito di Musumeci. Una nostra lettrice sul forum scrive che c’è un’estrema personalizzazione dei partiti catanesi: partito di Lombardo, partito di Firrarello, partito – tramontato – di Bianco, partito di Musumeci. Analisi semplicistica o c’è del vero? E se sì quali sono le motivazioni politiche?
«C’è del vero. I partiti personali sono molto diffusi e lo sono di più nel Mezzogiorno dove il voto “personalizzato” ha sempre avuto un’alta densità. La letteratura parla di tre aspetti: il primo è quello della tendenza allo sviluppo di questo tipo di voto; il secondo è la caduta del voto di appartenenza e quindi del voto ideologico. Qual è, invece, l’elemento che questo tipo di spiegazione non fa emergere? Come mai – nonostante la caduta dell’ideologia – il voto personalizzato si concentra sempre sul centro-destra? Questo è un interrogativo che impone Catania. Ciò mette in evidenza due tipi di problemi: il primo è il tipo di personale politico che può avere successo in un contesto come il nostro; il secondo problema è come mai il centro-sinistra non sia in grado di proporre un’offerta di personale partitico in grado di attrarre un elevato consenso. Le risposte ci potrebbero essere: innanzi tutto il centro-sinistra produce personale politico che è più adatto ad operare nelle istituzioni politiche e nel partito, mentre il centro-destra produce personale più adatto a relazionarsi con gli elettori, ma nello stesso tempo a coltivarne i vizi. In entrambi i casi quello che viene a mancare è la presenza di una classe dirigente in grado di fare emergere le virtù della comunità, che non possono essere del tutto assenti».

Débâcle della sinistra: solo sette consiglieri e un raffronto imbarazzante con le comunali del 2005 (quando Bianco fu a un soffio dal successo). Disaffezione dell’elettorato? Candidato troppo debole? Anche alla provincia la sconfitta è pesante. Nel 2003 Fava ottenne quasi il doppio dei consensi. Ma anche alle recenti politiche PD e IDV insieme avevano ottenuto quasi sei punti percentuali in più… C’era qui però Paolo Castorina appoggiato da PRC, SD e Verdi. Ha sottratto voti, ma non ha sfondato. Perché?
«I processi sono simili sia alle provinciali che alle comunali. Evidentemente c’è una mancanza di sintonia con gli elettori indipendentemente dal tipo di elezione. C’è una certa allergia degli elettori siciliani – in generale – nei confronti dell’offerta del centro-sinistra che in realtà c’è sempre stata, ma che in questo caso è accentuata. Non c’è un solo fattore che ne spiega le motivazioni, ma sono molteplici».

Nel consiglio comunale sono stati scelti tanti giovani. L’elettorato premia il rinnovo dopo il dissesto o c’è un’altra spiegazione?
«Non ho ancora analizzato questi dati, non sono in grado di rispondere senza un’attenta analisi. Il fatto che una serie di personaggi come Paolone, Fava eccetera non siano riusciti a rientrare nel consiglio comunale significa che c’è qualcosa che si muove. Bisognerà fare un’attenta analisi sia delle caratteristiche che della provenienza dal consenso per capire cosa è successo».

Il sistema politico uscito dalle urne mette in pericolo, secondo molti, quello che è definito una base della democrazia: la pluralità. Quanto può incidere negativamente questa situazione? E i cittadini quali strumenti di garanzia possiedono?
«Non c’è dubbio che il voto abbia dato una legittimazione democratica ai vincitori; nello stesso tempo non c’è alcun dubbio che dal voto esce confermata l’esistenza in Sicilia e a Catania di una democrazia di scarsa qualità. L’assenza di una reale competizione, il fatto che gli elettori votino i candidati e i partiti indipendentemente dal risultato del loro operato precedente e quindi la mancanza di quello che i politologi chiamano “responsabilità politica”, il fatto che le regole vengano scarsamente rispettate in tutti i settori, la mancanza del pluralismo nell’informazione, l’inesistenza di un’opposizione sono tutti indicatori considerati dalla letteratura come indicatori di scarsa qualità della nostra democrazia».


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