Consiglio, le reazioni alla relazione Antimafia Tra solidarietà, garantismo e pensieri d’affetto

«Se qualcuno dei miei collegi ha avuto a che fare con la mafia, allora io sono un boss». A rompere gli indugi sulla notizia che getta l’ombra di Cosa nostra nel Consiglio comunale di Catania è il capogruppo di Fratelli d’Italia Manlio Messina. L’indicazione di otto consiglieri nella relazione fornita dalla commissione regionale Antimafia al corrispondente organo nazionale passa di bocca in bocca, tra gli scranni di Palazzo degli elefanti. A intervenire sul tema, nella fase delle comunicazioni alla presidente del consesso Francesca Raciti, sono otto consiglieri su un totale di 37 presenti. A timbrare il cartellino ci sono anche Erika Marco, Salvatore Giuffrida, Salvatore Spadaro Alessandro Porto, Maurizio Mirenda e Francesco Petrina, tutti citati nel documento. Assente è, invece, il consigliere Riccardo Pellegrino, anche lui tra i nomi indicati dalla commissione Antimafia siciliana. 

«Questa terra è stata massacrata dalla mafia e io ho conosciuto persone che l’hanno combattuta e gente che ha pagato la lotta con la vita. Ma, per non farci mancare niente, in Sicilia siamo riusciti a inventarci anche una certa antimafia che, a volte, è peggio della mafia stessa», continua Messina. «Nei miei otto anni di attività politica ho conosciuto tutti i consiglieri, alcuni dei quali li ho visti incontrarsi con famiglie in difficoltà in quartieri della città in cui la vita è dura», aggiunge. «Se il mio amico Salvo Giuffrida è un mafioso, io sono un capomafia», conclude Messina. Attestati di solidarietà ai colleghi coinvolti arrivano anche da alcuni esponenti della maggioranza, come Michele Failla (Con Bianco per Catania). «Sono certo che questa vicenda si risolverà nel migliore dei modi. L’albero si giudica dai frutti che produce e le persone coinvolte in questa storia hanno sempre lavorato bene. A ciascuno di loro rivolgo un pensiero affettuoso», dice. 

«Quello che è accaduto oggi sui giornali è qualcosa di barbaro», tuona il capogruppo del Megafono Daniele Bottino. «Non ci sono prove che attestino quanto detto e il risultato è solo quello di infangare il consiglio comunale. In un periodo storico in cui c’è forte sfiducia verso la politica, buttare dei nomi su un giornale è un modo scorretto di gestire la vicenda», spiega. E auspica l‘intervento della magistratura «per avere giustizia». Punta sull’assenza di evidenze anche il capogruppo di Forza Italia Santi Bosco. «Non si può arrivare a certe conclusioni senza avere le prove perché, così facendo, si getta discredito sulle persone», dichiara l’esponente di centrodestra.

Garantista il capogruppo di Grande Catania Giuseppe Castiglione. «I colleghi di opposizione e maggioranza non c’entrano nulla con questa storia, ne sono certo. Forse la Regione Siciliana, siccome non sta governando come dovrebbe, cerca di creare altri problemi affinché la gente si scordi di tutto quello che non fa», interviene. Predica un momento di riflessione il collega di partito Sebastiano Anastasi. «I Comuni, negli ultimi anni, sono stati oggetto di polemiche, strumentalizzati con notizie che ricordano più che altro la caccia alle streghe. I miei colleghi avranno modi e tempi per difendersi da queste accuse», afferma. Si preoccupa della eco che avrà la notizia dell’ombra di Cosa nostra a Palazzo degli elefanti un altro esponente di Grande Catania, Andrea Barresi. «Il fatto scuoterà l’opinione pubblica anche nei prossimi giorni. Questa istituzione deve replicare alla stampa e alla commissione Antimafia al fine di tutelare l’intero organo», conclude il suo intervento. 

«Abbiamo chiesto con forza alla commissione regionale Antimafia di fare i nomi dei colleghi coinvolti, puntando a evitare di sparare nel mucchio. A me la mafia fa schifo ma sono contrario a un utilizzo di queste cose per creare vantaggi personali o svantaggi a fazioni politiche rivali», sostiene il vicepresidente vicario del Consiglio Sebastiano Arcidiacono (gruppo Misto). «Sono 18 anni che faccio politica e devo rammaricarmi di operare nei settori sociali dei quartieri periferici? Devo avere paura di andare in un quartiere e di sapere con chi sto parlando, o di chiedere informazioni? La mia coscienza mi dice no. Io sono andato a San Cristoforo per presentare il progetto della social card alle famiglie bisognose. Non conosco e non ho mai conosciuto né la sorella del boss né il cognato. Sono pronto a riferire, negli ambienti giusti, di cosa si è parlato», si difende Maurizio Mirenda, uno dei nomi caldi della lista della commissione Antimafia.

A replicare per l’amministrazione è l’assessore alla Legalità Rosario D’Agata che ricorda «l’impegno dell’amministrazione comunale contro la mafia». E cita come esempio: «che il Comune è stato parte civile in tutti i processi di mafia, che ha istituito un giorno dell’anno da intitolare alle vittime del fenomeno – il 21 marzo -, che si è impegnato a livello di trasparenza in tutti gli appalti pubblici, e nella legalità dei dipendenti comunali. Le notizie di oggi devono essere valutate e chiarite attentamente». «L’amministrazione riserva le proprie determinazioni dopo la lettura degli atti. La migliore risposta che oggi possiamo dare è il rispetto che nutriamo verso la legalità e la lotta alla mafia», conclude l’esponente della giunta di Enzo Bianco


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