Laudani, il patriarca che voleva «ammazzare tutti» Chiodi fissi: Santapaola, nipote pentito e i palermitani

«Ammazzare tutte le persone che sono nemici della mia famiglia: è il chiodo fisso di mio nonno. È folle nel modo più assoluto, non può stare in libertà completamente». Giuseppe Laudani, il primo e finora unico pentito della famiglia, scolpisce con parole nette il ritratto del patriarca 90enne Sebastiano Laudani. È lui ad avere dato il via al clan dei mussi di ficurinia, nome che deriverebbe da una zia del vecchio boss, particolarmente baffuta. Agli arresti dal 1989, secondo gli inquirenti non ha mai smesso di comandare. A darne ulteriore conferma sono i colloqui con i familiari intercettati nel carcere di Napoli-Secondigliano, dove era rinchiuso, e le dichiarazioni di quattro pentiti: Carmelo Riso, Eugenio Sturiale, Giuseppe Di Giacomo e, soprattutto, Giuseppe Laudani, 33 anni, nipote prediletto del patriarca, detto anche Zu Ianu. Tutto materiale confluito nella maxi operazione che ieri ha portato all’arresto di 109 persone a Catania e provincia

Il giovane collaboratore di giustizia parla del nonno in tre interrogatori del 2010. E non usa giri di parole: «Mio nonno vuole la guerra a qualsiasi costo, a lui non interessa se noi viviamo, moriamo. Non conosce neanche il bene che ci può essere tra un padre e un figlio, lui mandava i suoi figli piccolissimi a rubare perché gli dovevano portare i soldi a casa e via dicendo. Non si lasci insospettire dall’età – dice al pubblico ministero – ha sempre la stessa testa di quando era ragazzo». Quindi il 33enne racconta alcuni dettagli della vita carceraria e di come le informazioni arrivassero ai familiari. «Gode di buona salute e, pur spostandosi sulla sedia a rotelle e con il bastone, so che si allena in stanza coi pesi e ha una lucidità mentale e una memoria non comuni. Mio nonno ha sempre comandato dal carcere, anche quando era al regime di 41 bis. I messaggi li fa pervenire tramite l’avvocato Alongi (che allo stato non risulta indagato, ndr) e i familiari». Una pericolosità immutata, al punto da portare il nipote alla convinzione che «se mio nonno fosse scarcerato, sarebbe l’inizio di una guerra per tutta Catania, perché nessuno potrebbe mettere un freno alle sue decisioni».

A sentire i discorsi del vecchio boss nel carcere, emerge un vero e proprio odio nei confronti del clan egemone in città: i Santapaola-Ercolano. «Sono la razza più cornuta ed infame della terra, sono gente tinti», dice in un colloquio in carcere. «Io lo chiamo u parrino (cioè Nitto Santapaola, precisano i carabinieri, ndr), u parrino aveva bisogno di noi, perché questi sono sempre senza soldi, questi non sono stati mai niente, poi sono diventati… (e alza le braccia verso l’alto)». In un’altra intercettazione riassume: «Per me sono tutti scupini». 

In quest’ottica si inseriscono anche le lodi per uno dei più grandi rivali dei Santapaola, il boss Alfio Ferlito, ucciso nel 1982. «Era uno di quelli buoni a Catania e a loro (ai Santapaola, ndr) il culo glielo faceva in questa maniera (fa un gesto come a dire che avevano paura)». Infine il novantenne Laudani racconta alla nuora Maria un episodio in cui Santapaola avrebbe chiesto a «quel cornuto di capitano dei carabinieri» di ammazzarlo. Ma l’alto ufficiale avrebbe risposto: «Appena ammazziamo a suo padre, i figli ci ammazzano pure i bambini, a suo padre non lo vogliono toccato».

A quella per i Santapaola si uniscono altre due fissazioni: i palermitani – «non ha mai voluto intrattenere rapporti coi palermitani perché non li sopporta, quindi magari si limita a salvare le apparenze fingendo rapporti cordiali», racconta Giuseppe Laudani – e, soprattutto, proprio il nipote pentito. «La mia doloranza più forte qual è? – si lamenta il patriarca mentre parla ancora con la nuora – Che questo bastardo e cornuto, e figlio di sdisonorata… ha macchiato il nome… è stata una cosa pesante». In un’altra occasione si lascia andare: «Infame, pezzo di cornuto ogni notte non me lo posso levare dalla testa, gli ha dato un disonore a suo padre nella tomba».

L’ultima speranza del vecchio boss, detenuto da quasi trent’anni, è «uscire vittorioso della mia onestità (onestà)». Per Laudani il più nobile dei valori. «L‘onestità – spiega alla nuora in uno dei colloqui in carcere – si perde e non si guadagna più mai, non te la puoi comprare». Al pari di pochissime altre cose. «Tutto si compra – dice alla nuora Maria – ma la morte, l’onestità e la gravidanza non si può fare». La donna prova a ricordare al vecchio boss che forse per quest’ultima il progresso ha cambiato qualcosa. Il patriarca sembra prenderne coscienza: «Ora c’è il fatto… ora c’è il parto cesareo». E conclude aggiustando il tiro delle sue certezze: «Ma queste due cose, morte ed onestità, non li puoi comprare mai». 


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