Laudani, le presunte amicizie con i carabinieri Soldi per comprare confidenze e agevolazioni

Tieni gli amici vicino, ma i nemici ancora più vicino. A fare propria la massima di Al Pacino, nei panni di Michael Corleone nel film Il Padrino, sarebbe stato Giuseppe Laudani, reggente dell’omonimo clan negli anni Duemila. Almeno fino a quando il nipote prediletto del patriarca Sebastiano ha deciso di diventare collaboratore di giustizia. Le sue dichiarazioni sono confluite nell’ordinanza di custodia cautelare per 109 persone legate a vario titolo ai mussi di ficurinianell’ambito dell’operazione I vicerè. Nel periodo di permanenza ad Acireale, secondo i suoi racconti, Laudani avrebbe ottenuto più di un aiuto da chi invece lo avrebbe dovuto contrastare. Nello specifico, i carabinieri della locale caserma. Sulla portata delle dichiarazioni di Giuseppe Laudani, il comando provinciale di Catania dei carabinieri ha preferito non commentare. Limitandosi a sottolineare che nessuno dei militari citati dal collaboratore di giustizia risulta indagato.

Anche stavolta a fare da tramite – così come nel caso delle presunte conoscenze all’interno degli uffici comunali – sarebbe stato Giuseppe Fichera, fratello dell’ergastolano Camillo che, stando ai racconti di Laudani, guiderebbe il gruppo criminale acese anche dal carcere. «Giuseppe Fichera vantava conoscenze con militari appartenenti alla caserma di Acireale», dichiara il collaboratore in un’interrogatorio del 2010. Per l’esattezza, i carabinieri collusi sarebbero stati cinque o sei. I favori all’allora 22enne boss – che era giunto ad Acireale per ripristinare l’autorevolezza della famiglia, dato che da parte del gruppo locale «non c’era più rispetto» – si sarebbero manifestati in vari modi. Dagli avvertimenti circa imminenti blitz – dove l’unico problema è capire «a chi viene fatto, non quando lo fanno» – alla rivelazione di altri particolari investigativi. Fino a potersi permettere di guidare senza patente o sapere dell’esistenza di telecamere puntate contro la propria abitazione.

Pur di comunicare con Laudani, i militari avrebbero avvicinato le ragazze da lui frequentate, affinché facessero da tramite. «Questa ragazza una sera – racconta il collaboratore facendo riferimento a una ex fidanzata – mentre usciva di casa venne fermata da una macchina dei carabinieri che le dissero di avvisarmi perché tra qualche giorno sarebbe stato eseguito nei miei confronti un arresto». Ma capita anche di più, come nel caso di un maresciallo la cui nipote frequentava Laudani. Stando alla ricostruzione del collaboratore, il militare avrebbe detto alla ragazza che la casa del fidanzato era sotto osservazione: «Rivelò alla nipote che i carabinieri mi controllavano e che quindi sapevano che io frequentavo moltissime ragazze – spiega Laudani ai magistrati -. Io così venni a sapere di essere controllato costantemente».

I favori però avevano anche un prezzo. Secondo l’ex reggente del clan, in più di un’occasione i carabinieri avrebbero preso denaro – tra i 500 e i tremila euro per volta – in cambio della disponibilità a chiudere un occhio. In questi casi il collegamento tra Laudani e le forze dell’ordine sarebbe stato l’avvocato Giuseppe Arcidiacono, arrestato con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Arcidiacono – che secondo i magistrati avrebbe agito per aumentare il proprio prestigio all’interno della famiglia mafiosa, ottenendo al contempo tornaconti personali – avrebbe avuto anche l’accesso alle casse del clan. Per reperire le somme con cui acquistare la compiacenza dei carabinieri. I soldi sarebbero serviti, tra l’altro, anche per impedire il sequestro di alcune vetture. «Io chiamavo l’avvocato Arcidiacono – fa mettere Laudani a verbale – lui veniva, entrava in caserma, gli dava mille, duemila euro e le macchine non erano sequestrate». In alcuni casi, poi, i pagamenti sarebbero avvenuti mentre il pentito attendeva all’esterno della stessa caserma.

A raccontare della presunta vicinanza di Arcidiacono ai carabinieri di Acireale sono anche i collaboratori Nazareno Anselmi e Carmelo Riso, secondo i quali il compito del legale consisteva «nel procurare informazioni su eventuali procedimenti pendenti a carico degli appartenenti al clan». Tra i contatti più importanti c’era quello con Alessandro Di Mauro, ex comandante della caserma di San Giovanni la Punta, prima ancora di stanza ad Aci Catena, e poi arrestato. Secondo gli investigatori, Di Mauro e Arcidiacono avrebbero utilizzato un linguaggio criptato per scambiarsi informazioni sui futuri arresti. I blitz diventavano musica. «Senti appena hai qualche concerto tra le mani fammelo sapere», dice l’avvocato al militare. Il quale replica: «Prima o poi ti chiameranno di notte».


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