Catania battuto e contestato Pancaro: «Io non mi dimetto»

Allo
stadio una manciata di spettatori. In campo ritmi lenti e giocatori svogliati. Catania-Casertana ha tutto per sembrare una partita di fine stagione. Di quelle in cui entrambe le formazioni nulla hanno più da chiedere al resto del campionato, ne attendono solo la fine. Ma i conti non tornano: la Lega Pro ha superato metà percorso da neanche troppo tempo. E nonostante l’atteggiamento in campo suggerisca altro, per i rossazzurri la salvezza – che prima pareva un traguardo intermedio – è ancora in discussione. E lo sarà ancora di più, come la posizione dell’allenatore Giuseppe Pancaro, al termine dei 90 minuti. Che porteranno la seconda sconfitta interna della stagione. 

Ogni settore del Massimino è vuoto per più della metà. I presenti, a occhio, sono poco più di quattromila (7392 per il club). Una rumorosa ventina proviene da
Caserta. Alla lettura della formazione rossazzurra, un tempo accompagnata dalla partecipazione dell’intero stadio, nessuna emozione: niente applausi, niente ovazioni, niente cori. Gli ultras di curva Nord e Sud, 250 circa, fanno il loro ingresso sugli spalti con cinque minuti di ritardo. Altri, in tribuna B, entrano solo a inizio ripresa. Invano urleranno alla squadra «devi vincere», la vittoria non arriva. Senza effetto anche la richiesta «fate gol», a segnare è la Casertana.

Gli ospiti vanno vicini al vantaggio già dopo cinque minuti. Su un disimpegno corto e spensierato della difesa etnea, la palla termina sul destro di
Mangicasale. Al limite dell’area, il numero 7 della Casertana ha il tempo di puntare, mirare e sparare in porta un tiro a effetto d’esterno. Il pallone, alto, piega le mani di Liverani e termina sulla traversa per essere catturato – in un secondo tempo – dai guantoni del portiere del Catania, che scampato il pericolo si arrabbia con i suoi difensori. Al 16esimo minuto Calil, lanciato in verticale, conclude addosso al portiere avversario Gragnianiello. Il Catania non farà né di più né di meglio.

Il risultato cambia al 31esimo, sugli esiti di un
calcio di punizione concesso ingenuamente dai rossazzurri. La parabola a effetto, partita dalla corsia sinistra, fa per atterrare in area di rigore senza che nessun difensore salti a intercettarla. Sbatte sulla testa di De Angelis che la trasforma nel pallonetto vincente. Liverani, che manca il tempo dell’uscita, viene scavalcato e altro non fa che guardare il pallone entrare in porta nel deluso silenzio del Massimino. Rotto, dopo un attimo, da due petardi fatti esplodere in curva Sud. Contestazione alla quale, dopo qualche minuto, fa seguito quella della curva opposta.

I gruppi organizzati della Nord abbandonano il loro solito spicchio centrale, lasciandolo
vuoto e bianco, e si riversano nel parterre tra spalti e vetrata. Dove della partita si vede ben poco. Canteranno, balleranno e sventoleranno le loro sciarpe e bandiere fino al 70esimo, andando su e giù da una parte all’altra del settore. Intanto l’allenatore del Catania Giuseppe Pancaro, come nel primo tempo, guarda a braccia conserte la ripresa. A volte si sporge per dare qualche indicazione verso il campo, ma nessuno dei suoi giocatori, nonostante le difficoltà, si volta o avvicina mai verso di lui in cerca di consigli. Solo per i cambi.

Escono prima
Calderini e poi Musacci, al loro posto entrano a inizio secondo tempo Falcone e al 62esimo Lupoli. Ma l’atteggiamento della squadra non migliora e nemmeno la superiorità numerica, per il rosso al 58esimo a Bonifazi, dà benefici. Il Catania riesce a non avvicinarsi neanche all’area di rigore avversaria, e se capita – e l’occasione pare pure favorevole – non segna neanche quando sbagliare è arte più complicata: al 65esimo Russotto è solo, davanti a Gragnaniello, ma anziché tirare in porta calcia il più alto possibile sopra la traversa. La curva nord, tornata sugli spalti, contesta giocatori e allenatore: «Senza dignità».

Lo scorrere del tempo, e il ridursi delle possibilità di
riacciuffare il risultato, non infiammano l’animo spento della squadra. Che si limita ad amministrare la sconfitta, invece che sbilanciarsi alla ricerca del pareggio. Indicazioni contrarie non arrivano dalla panchina: Pancaro sostituisce un difensore, Garufo, con un altro difensore, Parisi. E si becca altri rimproveri, stavolta più coloriti, da parte dell’intero stadio. Quattro minuti in più di questo spettacolo, oltre il 90esimo, sono troppi per alcuni dei pochi tifosi presenti, che si alzano anzitempo dagli spalti. Ma restano per fare seguire i loro fischi, alla squadra, a quello triplice dell’arbitro.

Contestazione che aumenta quando calciatori e allenatore, dopo avere chiesto scusa per la prestazione verso la curva Sud, si dirigono verso il settore opposto. Ma appena dalla Nord parte il coro «questa maglia non vi appartiene», svoltano rapidi verso gli spogliatoi senza neanche rivolgere uno sguardo ai loro sostenitori. Il gesto sembra polemico e scatena cori dei quali il solo riferibile è «Tutti a casa». Dimissioni, tuttavia ,«non è una parola che conosco – dice Pancaro al termine della gara – Se mi accorgessi di essere il problema me ne andrei. Ma sento la fiducia di squadra e società e sono certo che restando riusciremo a salvarci». 


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