Il sipario strappato, lo stato del teatro catanese Vertici comunali assenti. «Temono il confronto»

Solo posti in piedi per l’assemblea Il sipario strappato, teatro e teatri a Catania organizzata ieri nel Coro di notte dell’ex monastero dei Benedettini. Tante le personalità e i nomi legati al mondo culturale catanese che hanno preso parte all’iniziativa, organizzata per fare un bilancio della situazione del teatro di prosa in città. Un evento partito spontaneamente sui social network – anche a seguito delle vicende legate alla nomina del nuovo direttore artistico del teatro Stabile – da tre professori universitari del dipartimento di Scienze umanistiche: Luciano Granozzi, Antonio Di Grado e Fernando Gioviale. È proprio Granozzi, docente di Storia contemporanea, a prendere per primo la parola, spendendo qualche battuta sul tema scelto e sui motivi. «Si sono dette molte cose su questo incontro e sul fatto che abbiamo scelto l’università per farlo – dice – quasi come se ci fosse una specie di complotto». Il professore fa riferimento alla nota dell’amministrazione comunale in cui si comunica l’assenza dall’assemblea per la «ristrettezza del tema» e le «modalità di proposta e organizzazione». Solo scuse per i docenti, che hanno spostato la data dell’evento inizialmente fissato per giorno 13, proprio per permettere ai rappresentanti di Palazzo degli elefanti di essere presenti. «Hanno deciso comunque di non venire – commenta il docente di Letteratura italiana Antonio Di Grado – probabilmente perché temono il confronto».

Per Granozzi la direzione del teatro Stabile, a cui durante il pomeriggio è stato dedicato più di un capitolo, è un problema, ma non il problema. I docenti per primi dovrebbero mettersi in discussione e chiedersi se quello che fanno all’interno dell’università è sufficiente per avvicinare i giovani a questo mondo. «Parlare di teatro vuol dire discuterne senza troppi protocolli e dobbiamo ricordare che oltre alle grandi istituzioni, come il teatro Stabile, ci sono altre realtà». «Ci accusano di chiuderci nelle nostre mura – aggiunge Di Grado – ma quando usciamo veniamo rimproverati. La nostra non è una dichiarazione di guerra, ma di confronto». Quello che invece ha colpito in particolar modo il professore di discipline dello spettacolo Fernando Gioviale, per cui l’incontro di ieri è «tardivo ma necessario», è stata l’accusa di «ristrettezza del tema proposto». «Il termine ristretto quando si parla di teatro sorprende – sostiene – perché non basterebbe un pomeriggio per parlare della situazione».

«Cos’è il teatro pubblico? – chiede l’autore Nino Romeo, entrando nel vivo del dibattito – I teatri Stabili non sono pubblici e bisogna trovare un sistema alternativo per quando imploderanno per mancanza non solo economica ma di funzione». Il nuovo direttore dello Stabile, Giovanni Anfuso, è stato nominato dopo il lavoro svolto per il festival I art. Un evento definito da Romeo, con l’approvazione del pubblico, «la più grande nefandezza di questa città, per cui sono stati spesi due milioni e 700mila euro di denaro pubblico. Ma – conclude citando Sciascia – se ne sono viste di peggio».

Lo scrittore Ottavio Cappellani sfrutta i minuti a sua disposizione per ringraziare, con nota ironica, il sindaco Enzo Bianco. «Grazie perché è riuscito a farci fare gruppo. Ogni tanto Catania riesce a stupire positivamente e quando vuole sa anche stare unita». Silvio Parito, operatore culturale, evidenzia come il problema non abbia solo una dimensione locale, ma riguardi tutta la Sicilia. «La Regione – sottolinea – investe per i teatri circa 40 milioni di euro e per le associazioni private che hanno funzione pubblica solo due milioni e 500mila euro». Secondo Parito è importante investire sulla formazione del pubblico, di cui dovrebbero occuparsi scuola e università.

«Da uomo di teatro – afferma il regista Elio Gimbo – trovo interessante che ci siano due linee di dibattito: una sul teatro stabile e una su quello contemporaneo». Gimbo osserva come il dibattito si agiti solo quando si parla del teatro Stabile. «Dibattito – aggiunge – portato avanti solo da persone che non fanno teatro, ma sono affascinate dal fatto che lo Stabile è una questione che appartiene alla politica e non più al teatro come lo intendiamo noi». A Catania, come ricorda, ci sono esperienze eccezionali in cui tutta la città può specchiarsi, come la marionettistica dei fratelli Napoli o Isola Quassùd della regista Emanuela Pistone.

Anche Giuseppe Dipasquale, attuale direttore artistico dello Stabile, decide di intervenire essendo stato inevitabilmente chiamato più volte in causa. «La mia testimonianza prescinde dalla situazione del teatro Stabile, anche se rivendico con orgoglio quello che ho fatto in questi anni». Per Dipasquale quando si parla di teatro tutti hanno diritto di esistenza e critica. «I teatri pubblici hanno norme di riferimento a cui ci si deve attenere. La vera domanda è: queste le regole si rispettano o no?».

L’operatore teatrale Salvo Nicotra si chiede quale ruolo abbiano svolto le università in questi anni e si definisce orfano dell’Accademia. «Perché la creatività non sia isolata e velleitaria ha bisogno di crescere – dice – speriamo che oggi sia solo l’inizio di un percorso di confronto e di crescita futura». «In un dibattito del genere a Parigi ci sarebbero stati i ventenni, mentre qui ce ne sono solo cinque», osserva il regista Salvo Gennuso. Il teatro è arte e innovazione e per Gennuso dovrebbe essere sempre di ricerca. «Il mio sogno – aggiunge – è che il pubblico possa conoscere gli artisti che oggi segnano la contemporaneità a teatro».

«Provocatoriamente vorrei dire che mi aspettavo di più – afferma Orazio Torrisi, direttore del teatro Brancati – Ciascuno di noi deve fare autocritica, l’università da una parte e i teatranti dall’altra». Per Torrisi l’idea vincente è soprattutto quella dell’abitudine continua al confronto e si augura che a questo incontro ne possano seguire altri. «Dobbiamo farci promotori di un nuovo modo di intendere la pratica teatrale e di un progetto pilota che deve arrivare alla Regione».

Tra gli interventi del pomeriggio anche quello di Ciccio Mannino, presidente di Officine culturali. «Ci è sembrato interessante l’invito rivolto nella locandina agli spettatori». Per Mannino è importante chiedersi cosa può fare il teatro in termini di abbattimento di barriere di carattere economico-sociale o di comprensione. «Si parla di pubblico come numero che riempie o meno le sale, quando dovrebbe essere il soggetto fondamentale». «Penso che l’amministrazione abbia perso un’occasione non presentandosi qui stasera», commenta Sebastiano Arcidiacono, consigliere comunale che rappresenta «se stesso» come tiene a precisare. «C’è bisogno di ascoltare il mondo della cultura, che può aiutare la politica a fare delle scelte. O aspettiamo che cambino le cose dall’alto o cominciamo a muoverci noi». «Dovremmo includere nel discorso anche la musica, la danza e le altre arti», conclude Biagio Guerrera, presidente dell’Associazione musicale etnea, che si augura si torni a parlare insieme per approfondire anche altri temi e fornire dei numeri, per capire meglio le dinamiche di questo mondo.


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