Unict, dal 2009 persi 40 milioni di finanziamenti  Valutazione ricerca: protesta un docente su dieci 

Un ateneo che in sette anni ha perso il venti per cento delle entrate ministeriali, un saldo in negativo di circa 40 milioni di euro derivati dal Fondo di finanziamento ordinario. Una spesa per il costo del personale da dover sostenere obbligatoriamente, con la possibilità di contare solo su un piano di pensionamenti e sul blocco degli stipendi imposto dal governo. E facendo leva sulle tasse universitarie. È il quadro dell’università di Catania all’indomani della scadenza per il conferimento dei prodotti della Vqr, la Valutazione della qualità della ricerca necessaria per determinare le quote premiali dei fondi ministeriali ai singoli atenei. Un sistema molto contestato a livello nazionale, che ha spinto oltre tremila docenti a non consegnare i propri risultati di ricerca. A Unict, secondo una stima ancora da verificare, ha aderito il dieci per cento dei professori.

Il fronte della protesta guarda a un’università sempre più messa in ginocchio dal punto di vista economico, soprattutto nel Mezzogiorno. Nel 2009 nelle casse di Palazzo centrale è arrivata una quota di Ffo pari a 200 milioni. Per quest’anno, secondo la previsione dei vertici universitari etnei, i fondi saranno pari a 161 milioni di euro, l’introito dalle tasse è di 37 milioni di euro a fronte di una spesa per il personale di 158 milioni. E se dal punto di vista dei bilanci la situazione non è rosea, a questo si aggiunge la decisione del ministero di non tenere in conto le richieste avanzate dai docenti e il mancato appoggio da parte della Crui, la Conferenza dei rettori. 

Il ministero e il governo non solo hanno ignorato totalmente la protesta, ma l’hanno intesa come una questione di lesa maestà

A Catania il dibattito è stato intenso. Interi dipartimenti hanno firmato mozioni a favore della protesta, ma nelle ultime settimane sono giunte telefonate di pressione per invitare a consegnare la documentazione richiesta e scambi via mail infuocati, che in alcuni casi si sono trasformati in minacce di querele. Unict è stato uno dei poli più vivaci sul fronte della protesta, ma senza scendere a decisioni drastiche da parte di direttori di dipartimenti e magnifici come accaduto altrove. Due le parti che si sono affrontate: i sostenitori dell’iniziativa #StopVqr da un lato, quanti temono possibili ripercussioni sui finanziamenti futuri dall’altra. «Per tutta l’università italiana non è stata una bella pagina», afferma Attilio Scuderi, docente del dipartimento di Scienze umanistiche e componente del Coordinamento unico d’ateneo. «Al di là dei numeri, il dissenso è fortissimo», precisa Scuderi. Infatti, nonostante le relativamente basse percentuali, a mancare sono i dati di ricerca di ampie fette dell’accademia italiana. «Si tratta di una Vqr difficilmente applicabile – analizza il docente – Cercheranno di rimandare ancora i termini». 

Per la giornata di lunedì 21 la Crui ha indetto in tutta Italia l’iniziativa La primavera dell’università, un evento aperto alla comunità accademica che nell’università etnea vedrà confrontarsi anche esponenti politici. Un’iniziativa che non incontra il favore dei docenti promotori della protesta, che avrebbero preferito da parte dei rettori un maggiore impegno nella vertenza su temi come il pesante blocco stipendiale o la richiesta di fondi destinati alla ricerca e al diritto allo studio. «Non c’è stato alcun tentativo di mediazione». Anche per questo motivo, nelle prossime settimane partirà la richiesta di dimissioni della ministra dell’Istruzione Stefania Giannini. «Quello che ci dispiace è aver riscontrato l’incapacità di smarcarsi da un atteggiamento filo-governativo – riflette Attilio Scuderi – Il ministero e il governo non solo hanno ignorato totalmente la protesta, ma l’hanno intesa come una questione di lesa maestà». 


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