Operazione Mummy, riti voodoo e prostituzione A Catania la base dell’organizzazione nigeriana

Dorina (nome di fantasia, ndr) è minorenne e viene dalla Nigeria. Ogni giorno è costretta a prostituirsi lungo la statale
Catania-Gela. Almeno fino a quando non ha dato il via all’inchiesta della Procura etnea su un maxi giro di prostituzione internazionale con base operativa a Catania ma con ramificazioni nel resto d’Italia, in Libia e Nigeria. Un vero e proprio clan che aveva il suo cuore nella Mummy. Appellativo della misteriosa capa africana. «Forte del suo potere decisionale», spiega la magistrata Lina Trovato, sottoponeva le ragazze a riti di stregoneria come quello denominato JuJu. Rituale magico esoterico con degli obblighi che, se non rispettati, avrebbero causato maledizioni di ogni tipo compreso il passaggio delle sventure in eredità ai parenti.

Il viaggio iniziava quindi con quello che gli investigatori definiscono «
il cosiddetto ingaggio per debito» stipulato in Nigeria. Dopo lo JuJu le vittime venivano trasportate gratuitamente in Italia ma con un dettame preciso: pagare lo spostamento in Europa con l’obbligo di essere sfruttate come prostitute nelle strade siciliane. Le tappe prevedevano un passaggio anche in Libia e l’imbarco sui gommoni verso le coste isolane grazie alle istruzioni dei Boga. Nome usato per identificare i faccendieri del clan con mansioni logistiche. Arrivate in Sicilia le donne venivano rintracciate da alcuni membri dello stesso clan. Che riuscivano a operare anche all’interno di strutture per minori non accompagnati, alle quali solitamente le ragazze venivano affidate dalle autorità italiane.

I magistrati della Procura retta da 
Michelangelo Patané hanno individuato otto vittime di cui due minorenni. I numeri snocciolati in conferenza stampa fanno emergere un quadro complessivo decisamente più allarmante. Secondo i dati dell’Organizzazione mondiale sull’immigrazione, le donne nigeriane sbarcate in Italia sono state 433 nel 2013, 1454 nel 2014 e quasi 5000 lo scorso anno. Un aumento strettamente correlato, secondo gli inquirenti, a crescenti fenomeni di sfruttamento, compreso quello della prostituzione che ha il suo zoccolo duro in Sicilia.

Nell’organizzazione gerarchica del clan ci sono anche nomi e cognomi. Un ruolo chiave sarebbe stato quello di
Sandra Johnson. Donna che aveva il suo quartier generale a San Cristoforo, e che si occupava della presa in consegna delle ragazze, subito obbligate a prostituirsi. «Veniva effettuata una settimana di tirocinio e poi iniziavano», puntualizza Lina Trovato. Mansioni differenti anche per gli altri quattro indagati sottoposti a fermo. Si tratta di Friday Igbinosun, Kelvin Aigbedion, Emmanuel Asewo e Jennifer Ekhator. Tutti indagati per associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento della prostituzione. Una sesta persona, Faith Owamagbe è accusata di favoreggiamento.

«Era un’attività di
reclutamento senza freni», analizza il dirigente della Squadra mobile etnea
Antonio Salvago. Che prosegue: «Prima dell’arrivo in Italia, le vittime ricevevano disposizioni precise». Come quella di non rivelare l’età anagrafica e evitare i controlli della polizia. Dalle intercettazioni sarebbero emersi anche i contatti che il clan aveva con i familiari delle ragazze in Nigeria. Pressioni costanti che portavano gli stessi parenti a invitarle a obbedire agli ordini.


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