Suicidio La Fata, prosciolti i due vigili urbani «Aspettiamo i motivi e pensiamo al ricorso»

Sono stati prosciolti. È di pochi minuti fa la decisione della giudice Marina Rizza, che ha scelto di non mandare a processo i due vigili urbani Antonino Raddusa e Giuseppe Tornatore. Erano accusati dalla procura di Catania di aver istigato al suicidio Salvatore La Fata, l’ambulante ed ex operaio edile che si è dato fuoco in piazza Risorgimento il 19 settembre del 2014, all’età di 56 annidurante un controllo antiabusivismo della polizia municipale etnea. L’uomo era morto 11 giorni dopo all’ospedale Cannizzaro di Catania: le ustioni di secondo e terzo grado sul 60 per cento del corpo si erano rivelate troppo gravi per essere guarite. Ma potrebbe ancora non essere arrivato il momento di mettere la parola «fine» su questa vicenda giudiziaria. «Aspettiamo di vedere le motivazioni della giudice, poi valuteremo se presentare un ricorso in Cassazione», spiega Francesco Marchese, avvocato della famiglia La Fata.

«Io sono senza parole», aggiunge Alfia Poli, moglie della vittima. «Credevo che fosse necessario un approfondimento – dice – Questo giudizio è difficile da accettare». Ogni commento viene rimandato ai prossimi giorni. A quando, cioè, saranno rese note le ragioni del proscioglimento. Che, almeno nell’esito, accoglie la richiesta formulata questa mattina dagli avvocati di Raddusa e Tornatore, Pietro Marino e Salvatore Verzì. Nell’ultima udienza preliminare la difesa aveva chiesto il non luogo a procedere per via della «mancanza della correlazione» tra il suicidio di Salvatore La Fata e la presunta affermazione dei vigili «Datti fuoco ma spostati più in là». Frase che alcuni testimoni sostengono di aver sentito e sulla base della quale la magistrata Agata Consoli, titolare dell’inchiesta, aveva chiesto il rinvio a giudizio per i due esponenti delle forze dell’ordine comunali.

Le indagini sul caso erano partite a rilento. In un primo momento era stato direttamente l’allora capo della procura di Catania Giovanni Salvi ad annunciare che non sarebbe stato aperto nessun fascicolo. Fatto successivamente reso obbligatorio da un esposto della famiglia di Salvo La Fata, che si è rivolta pure alla trasmissione Chi l’ha visto? alla ricerca di testimoni oculari di quanto accaduto. Se ne sono presentati tre, ma i loro racconti non sono bastati alla giudice per stabilire la necessità di un processo. Nel corso delle udienze preliminari, la difesa dei vigili urbani aveva sempre rimandato al mittente ogni accusa. Arrivando a domandare l’acquisizione delle cartelle cliniche del 56enne, nell’ipotesi che la sua morte potesse essere dovuta a un errore medico e che fossero necessarie nuove indagini per accertarlo. Tutte le richieste, però, erano state rigettate da Rizza. Motivo che era valso ai familiari della vittima la speranza che si propendesse per il rinvio a giudizio. Che non è arrivato.


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