«Io non mi metterei mai a dire che l'abbiamo inventata noi. La granita è patrimonio della Sicilia», dice Dario Condorelli, figlio del fondatore di una delle gelaterie storiche acesi. È alle falde dell'Etna che un gruppo di esperti gelatieri sta elaborando un disciplinare da inoltrare all'Ue affinché conceda il marchio di qualità
Granita di Acireale verso la certificazione europea «Tipica di Messina? Mostrino gli attestati storici»
A Messina l’hanno fatta diventare un De.co, marchio di denominazione comunale. Nel Catanese, invece, stanno provando a ottenere il riconoscimento dell’Unione europea. Perché la granita è una cosa seria. Da quando è stata diffusa la notizia che il Comune messinese vuole tutelarla in qualità di «produzione tipica locale», nel capoluogo etneo non si parla d’altro. E del fatto che il dolce estivo per eccellenza sarebbe originario delle falde dell’Etna e non certo della città dello Stretto. Una contesa culinaria che si preannuncia aspra, a cui potrebbe mettere la parola «fine» l’ottenimento della certificazione Stg, specialità tradizionale garantita, da parte della granita acese alle mandorle. «Altro che Messina», ride Orazio Condorelli, fondatore di una delle più note pasticcerie di Acireale.
«Lo dico io che ci vivo da sempre: segreti nelle granite non ce n’è. Se la materia prima è buona, qualunque cosa viene buona», sostiene. È stato lui a fondare, nel 1980, la prima gelateria di famiglia a Santa Venerina. Poi, due anni dopo, è arrivato il negozio in via Oreste Scionti, nel Comune acese. Adesso a seguire la strada di papà c’è Dario, 27 anni, che ha cominciato a lavorare con le granite quando di anni ne aveva 19. E da qualche anno ha aperto un bar in via Kennedy: si chiama Nevaroli e basta il nome a spiegare qual è la specialità della casa. «Facciamo un esempio – dice Condorelli senior – Se noi facciamo un litro di acqua e cento grammi di mandorla, il risultato sarà in un modo. Ma se facciamo mezzo litro di acqua e mezzo chilo di mandorle viene una cosa più gustosa, no? È facile».
In realtà non lo è poi così tanto. E il procedimento è talmente preciso che da gennaio gli organizzatori della Nivarata, il festival della granita artigianale, si riuniscono per elaborare un disciplinare che contenga tutte le caratteristiche – da quelle storiche alla lavorazione – da presentare all’Europa affinché conceda la certificazione di qualità. «Per ottenere un marchio ci vuole un documento dettagliato», spiega il 27enne Dario Condorelli, che sta lavorando al progetto acese. C’è poi la questione dell’origine della granita – la cui ricetta i messinesi sostengono di aver messo a punto – che in realtà non sarebbe possibile definire: «Se hanno un’attestazione storica la mostrino – precisa il giovane Condorelli – Ma io temo che non ci sia. Per lo stesso motivo per il quale io non posso dire che la granita è nata ad Acireale. La granita è patrimonio di tutta la Sicilia e ogni città ha il suo modo di interpretarla».
Nonostante si prepari con soli tre ingredienti – il prodotto di cui avrà il sapore, l’acqua e lo zucchero – le varianti sono infinite. Non è solo una questione di percentuali e lavorazione, «è anche una questione di gelatura. Cioè quando la miscela viene messa nei mantecatori». Per fare la granita al caffè, per esempio, «il segreto è usare il vecchio metodo, senza agitarla. Perché agitandola ingloba aria e cambia colore, diventa nocciola – puntualizza – Questo non deve accadere, bisogna aspettare che la miscela geli e si attacchi, poi si deve raschiare a mano con le spatole. Solo così resta buona veramente». Con le mandorle, vero punto di forza delle gelaterie Condorelli, «sta tutto nella scelta di prodotti che appartengono alla nostra terra – dice Dario Condorelli – Ma non basta per la certificazione: bisogna contare la percentuale di mandorle, che deve essere almeno del 12 per cento, la raffinazione, la consistenza, l’odore. Non posso dire altro».
Nel frattempo, però, la querelle tra siciliani minaccia di andare per le lunghe. Già si cita, per esempio, anche la granita siracusana: le mandorle restano con la buccia e in alcuni casi vengono pure tostate. «Da noi la tradizione è un’altra». E lui sta provando a innovarla, con il sostegno del padre. «L’evoluzione della granita ha a che fare con lo sviluppo economico di un territorio – sostiene – Qui ci siamo specializzati perché dovevamo far fronte, nel secondo dopoguerra, a un boom inaspettato. C’era tanta richiesta di mastri pasticceri per far piacere ai turisti che alloggiavano alla Perla jonica. È stato il turismo a spingerci a raffinare la tecnica, a ridurre la quantità di cristalli di ghiaccio e a valorizzare i sapori». Per questo non si può dire che non cambierà ancora: «È una ricetta viva – conclude l’esperto – I grandi classici lo rimarranno sempre, ma noi stiamo provando a fare anche qualcosa di diverso». Come i gusti arachidi al sale, noci e miele, mandorle e cannella, nutella e fichi d’india.