Omicidio S.G. La Punta, parla il figlio dell’assassino «Voleva uccidere, ha organizzato un‘ultima cena»

Un ritorno al passato raccontato davanti ai giudici con la voce rotta dall’emozione ma senza esitazioni. A parlare dietro il microfono è Andrea Russo, sentito come testimone nel processo per l’omicidio della sorella, la 12enne vittima del padre 47enne durante la notte del 22 agosto del 2014 a San Giovanni La Punta. In aula il ragazzo traccia il profilo di Roberto Russo partendo da lontano. «Lo vedevo strano, sembrava dentro un altro mondo ma non potevo mai pensare che potesse arrivare a tanto». L’operaio, finito nel vortice della disoccupazione e improvvisatosi venditore ambulante di frutta, uccise la figlia più piccola mentre dormiva nel letto matrimoniale accanto all’altra sorella, 14 anni, rimasta gravemente ferita. «Era stato lui – prosegue – a chiedere espressamente che dormissero insieme». 

Il racconto, stimolato dalle domande dell’avvocato Antonio Patti che assiste l’imputato, prosegue con alcuni aneddoti. Particolari che, secondo la procura di Catania, sosterebbero l’accusa di omicidio premeditato. Ipotesi che anche il figlio sottolinea più volte di condividere. «Nei mesi precedenti lo vedevo strano, ma in particolare tre giorni prima che accadesse tutto, mentre in televisione scorreva la notizia di un delitto in una famiglia, lui mi disse che capiva perché accadevano determinate cose». Una costatazione che sul momento avrebbe lasciato il giovane stranito ma che, alla luce di quanto accaduto, potrebbe celare un significato differente. 

Secondo la ricostruzione, Roberto Russo avrebbe organizzato anche quella che il figlio non esita a definire «l’ultima cena». Una riunione di famiglia da condividere davanti a una pizza qualche ora prima del delitto. «Si era fatto prestare 200 euro perché ci voleva tutti insieme, io gli dissi che poteva anche evitare di farlo e mangiare tranquillamente a casa». Il figlio parla del padre come «un cane bastonato, spesso triste e strano». Stati d’animo probabilmente legati alla precarie condizioni economiche, dopo il posto lavoro perso due anni prima a causa della chiusura dell’azienda dove lavorava. Dopo l’omicidio aveva anche tentato di togliersi la vita colpendosi con un coltello al petto senza però riuscire nel suo obiettivo. Ricoverato all’ospedale Cannizzaro di Catania, trascorsi alcuni giorni era scoppiato a piangere davanti alle magistrate che lo avevano interrogato, chiedendosi anche il perché non fosse riuscito nell’intento con il coltello da cucina. Un’arma che, secondo il figlio, «di solito era nascosta e non era mai stata utilizzata in casa».

Mentre il racconto prosegue, a guardare il testimone ci sono alcuni parenti che lo hanno accompagnato in aula. Le domande si susseguono e spesso a chiedere chiarimenti è la presidente della corte Anna Maria Caserta. Da sviscerare ci sono anche i problemi familiari che l’uomo aveva con la moglie. La donna proprio in quei giorni si era allontanata dalla casa di San Giovanni La Punta, tornando dai propri genitori. «Mio padre prendeva delle gocce per dormire la notte e mi parlava di mia madre dicendomi che aveva paura di perderla». Un ritratto di fragilità psicologica che Russo aveva messo nero su bianco in una lettera ai familiari, acquisita agli atti del processo, nella quale concludeva: «Ci rivedremo nell’aldilà».


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