‘Voi che mutate il diritto in assenzio’

Se questo movimento studentesco ottobrino verrà un giorno evocato nei libri di storia o se presto evaporerà senza lasciare tracce, ancora non lo sappiamo. È certo però che molti ricorderanno le lezioni in piazza come elemento strutturale e identificativo dell’Onda, uno strumento al tempo stesso di protesta e di partecipazione. Finalmente anche a Catania, le basole in pietra lavica di piazza Università diventano banchi e sedie per centinaia di studenti: c’è chi ascolta, c’è chi prende appunti, c’è chi, semplicemente, studia.
I docenti si alternano al microfono, si formano vari gruppetti.
 
Sono più o meno le dieci e mezza: il prof Felice Rappazzo inizia la seconda lezione della mattinata: “il potere e i giovani” attraverso il pensiero del poeta contemporaneo Franco Fortini. Sono due i frammenti analizzati: il primo è costituito dai primi versi della poesia “Di voi”, tratta dalla raccolta ‘Paesaggio con serpente’; il secondo coincide coi versi finali di “E questo è il sonno…”, testo che conclude l’ultima raccolta del poeta ‘Composita Solvantur’.
“E’ un poeta poco conosciuto da voi studenti, ma che io propongo regolarmente ai miei, con sudore e sofferenza: loro e mia”, esordisce il professore.
Ma cosa c’entra questo intellettuale marxista, saggista, critico, traduttore, ebreo convertito alla confessione valdese e gran conoscitore di letteratura, con la ministra Gelmini, con i tagli, con il maestro unico, con l’Onda?
 
Leggiamo i pochi versi del primo frammento:
 
“Il metallo è stato corroso dai gas. La vernice
non ha resistito. I corpi hanno ribrezzo.
Voi li avete disfatti
che mutate il diritto in assenzio”.
 
È la scena di un incidente, di strada o di lavoro, che ha causato morti. Ma sono gli ultimi due versi a fornirci una prima risposta alla nostra domanda: sono parole di denuncia del potere corrotto, di chi approfitta del proprio ruolo privilegiato, di coloro che avvelenano il diritto, rendendolo amaro e tossico, di chi insomma trasforma la giustizia in ingiustizia.
Ecco il legame attuale tra il messaggio di Fortini e i ragazzi presenti: l’esortazione a vigilare, ad indignarsi di fronte a un potere che abbandona la giustizia. Ma chi si nasconde dietro quel profetico ‘voi’? Guardarsi attorno e rispondere ‘la Gelmini e l’intero governo’ sarebbe fin troppo automatico. Ritorna in mente l’ammonizione iniziale del professore: “Fortini è un poeta difficile, a volte oscuro”. E in effetti la denuncia non si limita ai potenti. In un altro testo scrive infatti il poeta: “Fra i nomi dei nemici scrivi anche il tuo”. “Nel meccanismo del potere – spiega il professore – siamo tutti. Nella modernità e nella società dell’alienazione ogni cosa si presenta in maniera rovesciata. Il diritto diventa assenzio, la giustizia diventa ingiustizia. Solo l’uomo che supera, nella lotta per il compimento pieno della sua umanità, il rovesciamento e l’alienazione, può chiamare giustizia la giustizia, assenzio l’assenzio”.
Attimi di silenzio. Il testo del discorso, distribuito tra gli studenti che assistono alla lezione, agevola la comprensione non immediata del testo.
 
La seconda risposta alla nostra domanda è nascosta tra i versi del secondo frammento.
 
“Rivolgo col bastone le foglie dei viali.
Quei due ragazzi mesti scalciano una bottiglia.
Proteggete le nostre verità”
 
Il tema è quello della trasmissione dell’eredità, il ruolo dei giovani rispetto ai padri. Fortini morirà pochi mesi dopo la stesura di questa poesia. L’atmosfera è mesta: un vecchio, foglie autunnali, due ragazzi apparentemente annoiati.
Numerose immagini scorrono nella mente alla lettura dei versi, immagini libere e istintive o stimolate dalla riflessione e dall’approfondimento del professore che elenca allusioni e fonti letterarie: “Qui l’invito, quasi la supplica, alla protezione di verità delle generazioni passate, ormai al tramonto, è rivolto a ragazzi inconsapevoli, turbati, estranei ai miti e alle fedi dei padri, disordinatamente in cerca di se stessi e di un senso, mestamente oppressi dalla povertà dell’esperienza. Il vecchio poeta non ha nulla da insegnare ai giovani, può solo supplicarli di proteggere le nostre verità: non riproponendole tali e quali, ma cercandone altre: trasmettendo la forma della ricerca, o, se si vuole, la ricerca come forma”.
 
Il prof Rappazzo conclude il suo intervento tra gli applausi. Nel suo discorso non compaiono le parole Gelmini, tagli, privatizzazione. Non servono: il messaggio è arrivato ugualmente e l’Onda ha trovato una ‘sua’ nuova forma per esprimersi.


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