Il Cara di Mineo e le mezze verità di Alfano C’è chi, dopo mesi, non è stato identificato

«L’Italia aveva due punti deboli: le identificazioni e la durata del procedimento per ottenere l’asilo politico. Abbiamo fatto fronte a tutt’e due le urgenze». È una mezza verità quella pronunciata dal ministro dell’Interno Angelino Alfano mercoledì, in occasione dell’apertura della sede Frontex a Catania. A smentirlo sono Innocent e cinque ragazzi arrivati come lui dalla Nigeria, e anche Mamadou, dal Senegal. Tutti ospiti del centro d’accoglienza per richiedenti asilo (Cara) di Mineo. Se prima i tempi di risposta delle commissioni che valutano le pratiche arrivavano anche a un anno e mezzo, è vero che oggi in alcuni casi si sono accorciati fino a raggiungere una decina di giorni. Ma non per tutti. E c’è anche chi, arrivato da mesi in Italia, non è stato ancora nemmeno identificato. Restano inoltre irrisolti alcuni dei problemi più comuni all’interno del Cara, come la gestione del pocket money, la somma giornaliera a cui ogni migrante ha diritto.

Aspetto la risposta da quattro mesi

«Sono arrivato a Lampedusa a dicembre – racconta Innocent – Poi mi hanno trasferito a Messina, in un campo d’emergenza e infine qui a Mineo». Innocent ha fatto richiesta d’asilo e ha già incontrato la commissione che deciderà sul suo futuro. «Ma aspetto ancora la risposta da quattro mesi». Grazie al suo inglese, fa da portavoce di un gruppo di nigeriani con più domande che risposte. «Qui non ci hanno spiegato niente», raccontano attraverso Innocent. E d’altronde loro per lo Stato italiano non esistono. Perché non sono mai stati identificati. «No fingerprint», ripetono mostrando il pollice che viene utilizzato per prendere loro le impronte digitali. Una mancanza che li rende invisibili, almeno alle autorità. 

«Siamo partiti con una barca di legno dalla Libia dopo essere stati nei campi». Storie che vengono alternate a gesti, che mimano l’utilizzo dei fucili da parte dei trafficanti. Sul filo dei «ritardi zero» annunciati da Alfano c’è il racconto di Mamadou. Un ragazzo di 21 anni che ha iniziato il suo viaggio verso l’Europa partendo dal Senegal. «Non ho avuto ancora una risposta dopo due mesi», spiega parlando in francese. Secondo la normativa del sistema richiedenti asilo le pratiche dovrebbero essere analizzate entro 45 giorni. Dopo l’esito delle commissioni, i migranti hanno inoltre 15 giorni di tempo per gli eventuali ricorsi. Appelli che nella maggior parte dei casi vengono gestiti gratuitamente da una rete di avvocati. Sia Mamadou che gli altri ragazzi africani chiedono spiegazioni e vogliono contatti telefonici dei legali. 

Non fumo ma sono costretto a comprare le sigarette

«Quanto costa?», è il loro primo interrogativo. A occuparsi di rispondere sono i volontari della rete antirazzista catanese, mentre distribuiscono alcuni dizionari per migliorare la lingua. I soldi sono la prima preoccupazione degli ospiti del Cara. In mezzo a tanti uomini che tornano con le loro biciclette dai campi di lavoro ci sono anche i retroscena sul pocket money. Una sorta di diaria da 2,50 euro, accreditata su una carta, e che dovrebbe servire per acquistare schede telefoniche, alimenti, biglietti del trasporto, giornali e sigarette. Ma a Mineo, secondo il racconto di Innocent e dei suoi amici, è possibile comprare solo le bionde. «Io non fumo e sono costretto a prenderle lo stesso per poi rivenderle». Una sorta di mercato nero dei tabacchi, dove chi vende è comunque in perdita. «Un pacco costa 5,40 euro e lo rivendiamo a tre euro». Storie di vita quotidiana dentro il Cara che sembrano sfuggire ai resoconti governativi. 


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