I 60 milioni spesi per rendere Catania intelligente Notarbartolo: «Quali benefici reali per i cittadini?»

«A dispetto dei milioni di euro spesi per i progetti Smart cities, Catania è precipitata dal 47esimo posto del 2014 al 63esimo posto del 2016 nel rapporto sulla capacità delle città di dotarsi di infrastrutture intelligenti e offrire servizi digitali ai cittadini». Il riferimento è ai 60 milioni di euro stanziati dal Miur nel 2012 per tre progetti del Comune di Catania dei quali «non sono chiari i benefici reali e non solo promessi per la città». A chiedere chiarezza è il consigliere Niccolò Notarbartolo, in quota Pd, in un’interpellanza rivolta alla presidente del consiglio comunale Francesca Raciti e per conoscenza al sindaco etneo Enzo Bianco. Una richiesta che guarda al futuro e precisamente agli altri 90 milioni di euro che la città dovrebbe ricevere dal Pon metro per mettere a sistema proprio i progetti finanziati dal Miur. Soldi vincolati innanzitutto alla creazione di un organismo intermedio che gestisca il progetto e che a Catania ancora manca, mentre «diverse città, tra le quali Palermo, hanno già presentato l’organigramma».

La storia dei milioni per rendere Catania una città intelligente comincia nel 2012, sotto la sindacatura di Raffaele Stancanelli. I 60 milioni del Miur vengono destinati a tre progetti. Uno si chiama Prisma e riceve 20 milioni di euro per migliorare l’azione amministrativa in tre settori: mobilità, decoro urbano e servizi sociali. Se nel primo caso non si conoscono le idee della vecchia e della nuova amministrazione, nel secondo si sarebbe dovuti arrivare alla creazione di un’applicazione – collegata con gli uffici comunali – che permettesse ai cittadini di segnalare i problemi della città, dal verde alle buche per strada. App mai vista, al contrario della piattaforma pensata per mettere in rete i Servizi sociali comunali, le associazioni di volontariato e gli utenti – il terzo punto del progetto Prisma -, presentata a luglio 2015. Un portale a cui è impossibile accedere dal sito del Comune ma che, stando agli addetti ai lavori, funzionerebbe anche bene. Il secondo progetto ad avere ricevuto 21,4 milioni di euro è Dicet, in collaborazione con l’Ibam-Cnr, che ha portato alla digitalizzazione di parte del patrimonio archeologico cittadino e all’apertura di un livinglab in via Manzoni. Uno spazio dove i turisti possono vedere alcune ricostruzioni 3d dei monumenti e ricevere informazioni sui beni. L’ultimo progetto, finanziato dal Miur con 21,7 milioni di euro, è Sinergrid. Di cui si sa solo che avrebbe dovuto aiutare a sviluppare soluzioni innovative per l’efficientamento energetico degli uffici comunali.

In tutti e tre i casi si tratta di un investimento per un prodotto in sperimentazione, in vista di una sua successiva commercializzazione. Una fase di ricerca e sviluppo di cui però, nel caso di Catania, non sono chiari «gli effettivi risultati tangibili», spiega Notarbartolo nell’interpellanza. Specie tenuto conto del fatto che «la strategia per la crescita digitale 2014-2020 assegna alla misura Smart cities Miur il ruolo di iniziativa propedeutica per la realizzazione delle soluzioni da finanziare con il programma Pon città metropolitane». Cioè gli altri 90 milioni di euro che dovrebbero arrivare a Catania per mettere a sistema i progetti finora in sperimentazione. Eppure, sottolinea il consigliere, «non risulta che l’amministrazione abbia approntato una strategia di riuso» dei tre piani già finanziati. I quali, «senza una reale integrazione con gli uffici comunali, sono un puro esercizio tecnologico che non apporta alcun vantaggio nei servizi ai cittadini». Non solo. Secondo le regole stabilite dall’Agenzia per la coesione, i 90 milioni non potranno essere spesi se prima non verrà presentato l’organigramma del cosiddetto organismo intermedio che dovrà gestirli. Cosa che Catania non ha ancora fatto.


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