Depuratori e inchieste, dove fare il bagno nel Catanese Le spiagge non coinvolte nelle denunce sugli scarichi

In Sicilia solo il 54 per cento degli scarichi fognari viene depurato. Il dato complessivo sull’Isola, elaborato da Legambiente nel dossier Mare monstrum, riflette la situazione della provincia di Catania. Lo specchio – sporco – del dramma della depurazione delle acque reflue nei centri abitati più grandi. L’ultimo capitolo della maxi-inchiesta della Guardia costiera riguarda i depuratori di Pantano D’Arci e Paternò, che scaricano nelle acque del fiume Simeto. Le analisi sull’impianto paternese devono ancora essere concluse e «l’attività è in itinere», fanno sapere dalla Capitaneria di porto etnea. 

Nell’area della città metropolitana catanese, intanto, a rimanere fuori dai sospetti non sono rimaste molte spiagge. Nel decreto con il quale si dà avvio alla stagione balneare, ogni anno la Regione Siciliana indica i tratti di costa in cui è vietata la balneazione per motivi d’inquinamento. Spesso uguali di anno in anno, perché lì si immettono in mare proprio gli scarichi dei depuratori o, peggio, le acque nere. «Il mare non è un acquario – precisa il comandante della Capitaneria di porto di Riposto Luca Provenzano – La normale azione delle correnti fa sì che non si possa compartimentare un pezzo di mare piuttosto che un altro. Nelle zone dove c’è minore urbanizzazione ci sono anche meno scarichi, per cui è più semplice che l’acqua sia pulita». Bisogna precisare, però, che acque trasparenti e senza schiume non certificano l’assenza di inquinamento. «Così come una macchia d’olio non può significare che il mare, invece, sia dannoso», conclude Provenzano.

Tra i punti che rimangono fuori dalle indagini della procura etnea c’è, per il momento, la zona di Fiumefreddo di Sicilia. Dal lungomare di Marina di Cottone le segnalazioni non sono numerose come quelle che arrivano da chi fa il bagno nella vicina spiaggia di Fondachello, la stessa in cui si è verificata l’epidemia di infezioni post-ferragosto dello scorso anno. Secondo l’Asp va tutto bene anche tra Torre Archirafi e Pozzillo, passando per Stazzo, nell’Acese. Semaforo verde anche per le spiagge del borgo di Santa Maria La Scala che, ricadendo nel territorio della riserva naturale della Timpa, subiscono più controlli. Non dovrebbero esserci problemi neanche nella zona dell’area marina protetta delle Isole dei ciclopi. In cui, nonostante il noto scarico fognario in mare sul lungomare Scardamiano nei pressi del Castello normanno di Aci Castello, la qualità dell’acqua sembra essere «eccellente». Si arriva poi all’area di competenza del Comune di Catania che, viste le recenti accuse all’amministrazione in tema di depurazione, è meglio lasciare in sospeso. Per arrivare fino alla spiaggia di Vaccarizzo, poco oltre la foce del fiume Simeto. Un altro punto in cui il mare non ha destato sospetti di recente.

Ma la questione degli scarichi nelle ultime settimane si è fatta complessa. L’inchiesta sul depuratore di Mascali – in cui finivano più acque nere di quante l’impianto fosse in grado di pulirne, con il conseguente sversamento nel torrente Macchia di reflui non trattati – ha dato il via a un filone di indagini che si sono allargate a tutti i 14 impianti di depurazione nella provincia di Catania. Ma non solo. Come raccontato da MeridioNews sotto la lente d’ingrandimento della magistratura sono finiti anche quelli del Messinese che immettono le loro acque nel fiume Alcantara. Per esempio la struttura di Giardini Naxos. Su questa stessa scia è arrivata anche la denuncia di Sinistra italiana per omissione d’atti d’ufficio nei confronti del sindaco di Catania Enzo Bianco, che sarebbe colpevole – secondo il partito – di non aver sollecitato l’intervento dell’amministrazione per il completamento della rete fognaria nel Catanese.

E proprio sulla struttura che dovrebbe accogliere i reflui della città di Catania c’è qualche certezza in più rispetto alla scorsa settimana. «Sono state fatte prescrizioni sia di carattere amministrativo, sia di carattere penale», spiega il comandante Daniele Di Guardo. In base alle prime informazioni, a Pantano D’Arci sarebbero stati trovati fanghi attivi, cioè quelli con cui si realizza la pulizia dei reflui, in eccesso rispetto a quanti la struttura potrebbe contenerne. Un problema che non riguarda la depurazione delle acque ma che potrebbe avere a che fare con il mancato smaltimento degli stessi fanghi. Un rifiuto speciale che dovrebbe essere compostato e che solo in rari casi viene portato in discarica.


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