Operazione Carthago, il colpo al tesoro del clan Nizza «Esercito di narcotrafficanti, ora corsa per il potere»

«Le cifre sui proventi dello spaccio che avete sentito nella
serie Gomorra non sono solo televisive». Ad affermarlo è la titolare del fascicolo relativo alle indagini sull’operazione Carthago, Lina Trovato. L’attività investigativa, per la quale i carabinieri hanno impiegato 300 uomini tra unità mobile, cinofila, antidroga e antiesplosivo, ha portato a 35 ordinanze di custodia cautela per i reati di associazione mafiosa, armi e traffico di sostanze stupefacenti a carico di persone ritenute appartenenti al clan Nizza. Resta latitante – ormai da due anni – il presunto boss Andrea i cui rapporti con gli altri componenti della famiglia «rimangono coperti dal segreto poiché la sua ricerca è particolarmente attiva in questo momento», dichiara il procuratore capo di Catania Carmelo Zuccaro. Che precisa come sia stata già emessa un’ordinanza di estradizione a carico di un’altra persona coinvolta nell’operazione Carthago, ma non arrestata oggi, un «uomo che al momento si trova in Svizzera», sottolinea. 

Le indagini sono partite dalle dichiarazione di
tre collaboratori di giustizia, primo fra tutti Fabrizio Nizza. Un contributo, il suo, «assolutamente determinante non solo per le forze dell’ordine ma anche per avere instillato negli altri la sensazione che ormai la loro battaglia fosse persa», spiega Zuccaro. Insieme al diretto esponente del clan di Cosa nostra, sono risultati fondamentali pure i pentiti Davide Seminara e Salvatore Scollo. Il cui operato è stato un punto di partenza «anche per gli appostamenti nei quartieri di Librino e San Cristoforo». E sono proprio le due periferie di Catania i centri individuati dal clan Nizza come base operativa per le attività illecite che «hanno le caratteristiche di una vera e propria azienda», interviene Trovato. «Gli illeciti riguardavano lo spaccio di sostanze stupefacenti, sia cocaina proveniente dalla Calabria che marijuana albanese, il rifornimento di altri gruppi e il riciclaggio dei proventi». Una pulizia del denaro sporco che avveniva attraverso due persone: «Antonio Scordino, imprenditore nel settore dell’edilizia, e Salvatore Fonte che opera nel settore della ristorazione, figlio della titolare della nota attività ‘Nà ‘zà Rosa», dice Zuccaro. 

Un fiume di soldi che diventava argomento di conversazione. Come quando Salvatore Condorelli, adesso detenuto nel carcere di Bicocca, dice ad Agatino Torrisi (classe 1984, arrestato oggi): «Agatino, noialtri stavamo 480mila euro sotto, diglielo». «Ah, sì?», risponde Torrisi. «Ah no?», replica Condorelli. E, nel corso del dialogo intercettato dalle forze dell’ordine, continua: «C’erano i soldi, ma non c’erano tutti. Non c’era più il guadagno di mio cognato». «Ne mancavano qualche due e sessanta o due e settanta – interviene Martino Cristaudo – Più i cinquanta che si dovevano dare». «Quaranta – lo corregge Condorelli – Semu tutti boni, badduzza». Per farla semplice, sintetizza Cristaudo, «tre e dieci, va’. Ce n’erano tre e dieci su cinquecento».

A rifornirsi dai Nizza «che gestivano il principale traffico di spaccio del nostro territorio erano soprattutto
 tre famiglie: in viale San Teodoro c’erano i fratelli Arena, al viale Grimaldi Dario e Giovanni Capuano e Giuseppe Nicolosi, e in viale Librino con la famiglia Marino. «Abbiamo appurato una sorta di atteggiamento di mutuo soccorso anche tra clan rivali nel reperire la droga», spiega il comandante provinciale dei carabinieri di Catania Francesco Gargaro. I cui uomini hanno rinvenuto un «vero e proprio arsenale di armi, in ottimo stato di conservazione, in un vano ascensore di un palazzo abbandonato in viale Moncada 10». Dotazione «simile a quella di un piccolo esercito di narcotrafficanti con sette kalashnikov, un migliaio di munizioni, due giubbotti antiproiettile, fucili e pistole», precisa Gargaro. «L’armamentario ci fa ipotizzare un possibile uso a breve termine e in parte sarebbe servito a dare contezza agli altri clan della propria potenza in materia di fuoco», prosegue. 

Il timore adesso «sono i
possibili contrasti tra clan del settore», dice Zuccaro. «Ma noi intendiamo colpire in maniera rapida anche perché parliamo di proventi di 80mila euro al giorno, la cui grossa parte finisce in operazioni di speculazioni finanziarie». Un giro di soldi che farebbe gola a molti, ragion per cui «abbiamo ragione di ritenere che, avendo disarticolato il monopolio dei Nizza, vi sarà a Catania una corsa a riempire il vuoto di potere e monitoreremo tutto in questo senso», conclude Zuccaro. Il cui pensiero va ad Andrea Nizza «l’ultimo latitante della dinastia, il più pericoloso per la città». 


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Sono 35 le persone coinvolte nell'operazione «che ha portato a disarticolare la famiglia mafiosa», dice il procuratore Carmelo Zuccaro. Che ritiene plausibili «contrasti tra clan», poiché le attività di gestione della droga possono fare gola ad altri. Latitante il presunto boss Andrea, il «più pericoloso della città». Guarda il video

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