(In)conscia Veritas: arte catanese a Positano Carnalità e favola tra la fotografia e la pittura

Per la catanese Elisa Anfuso dipingere «è sempre sembrata una cosa naturale, anche più di parlare. Un’urgenza, persino un rimedio, sin da bambina». Così come per Alessandra Lanzafame, originaria di Scordia, l’arte «è sempre stata una compagna di vita che non ho mai lasciato».
Dopo il diploma all’istituto artistico e la laurea all’accademia di Belle Arti di Catania la prima si è messa a lavorare ricercando «la consapevolezza prima ancora che la tecnica», senza chiedersi fino a dove sarebbe arrivata. Alessandra, invece, dopo il diploma si è spostata a Roma per studiare Fotografia e ha iniziato a esporre tramite importanti associazioni culturali, vincendo anche il premio Festa della strega organizzato dal Comune di Roma.
Seguendo ognuna la propria passione, a un certo punto si sono incontrate ed è nata una sintonia che oggi le ha portate a esporre insieme alla mostra (In)conscia Veritas. L’esposizione è curata da Marco Izzolino, è stata allestita nella sala blu ottagonale della Liquid art system di Positano e sarà aperta al pubblico fino al 23 luglio. MeridioNews ha incontrato le due artiste per farsi raccontare la genesi e il futuro del loro progetto. 


Com’è iniziata la vostra relazione con il mondo dell’arte? 

Elisa: «Non ricordo un momento, un incontro, un aneddoto che abbia segnato l’inizio del mio percorso artistico. È come se sapessi da sempre cosa avrei voluto fare. In tutti i ricordi d’infanzia mi vedo mentre disegno e a ogni ricorrenza il regalo era sempre una nuova scatola di colori». 
Alessandra: «L’arte mi è sempre stata compagna di vita, non so chi delle due abbia scelto l’altra ma non l’ho mai lasciata. Vorrei un presente più umano, empatico, meno tecnologico e polemico, e per questo desidero che ciò che creo venga accolto dal mistero e dalle solitudini che ogni osservatore custodisce dentro di sé». 

Come vi siete conosciute? Da quanto tempo lavorate insieme? 

Elisa: «Ho visto per la prima volta i lavori di Alessandra nel 2013. Un amico comune mi aveva parlato della sua ricerca, forte di una base poetica a me molto affine. Sedie e palloncini animavano gli scatti e le tele di due sconosciute che non sapevano di essere in realtà così vicine. L’ho immaginata dentro ai miei dipinti e ho avuto la sensazione di averla trovata dopo un lungo cercare. E quel sentirsi a pelle si è rivelato una conferma: sin dalle prime pose nel mio studio mi ha dato l’idea di abitare il mio mondo da sempre. Una sintonia intima che non poteva non sfociare in un progetto comune e che portiamo dentro sin dal nostro primo incontro». 
Alessandra: «Qualche giorno prima di conoscerci mi scrisse una email in cui mi confessava di sognare spesso il mio viso nei suoi dipinti. Ero molto intimidita dalla richiesta di posare per lei perché non mi sono mai fatta fotografare da qualcuno che non fossi io. Ma il suo sguardo gentile e i modi rassicuranti ci hanno fatte entrare subito in empatia e ho capito che ero stata invitata a rappresentare un mondo affascinante, magnetico e fiabesco: il suo. Abbiamo cominciato subito a scattare. Sono passati tre anni da quando l’una è entrata nella vita e nell’arte dell’altra». 

Quali sono le emozioni che Elisa affida al volto di Alessandra? 

Elisa: «Più che emozioni le affido visioni. Le emozioni arrivano subito dopo, quando la visione prende forma col suo linguaggio simbolico, i suoi giochi surreali, i suoi equilibri precari. Sono visioni inquiete come l’animo di chi le genera, luoghi di sospensione in cui nulla accade ma tutto può accadere, ricordi d’infanzia e turbamenti apparentemente rimossi. Ogni suo sguardo, ogni suo gesto, ogni sfumatura del suo incarnato, riescono a farsene interpreti e a sublimarli con grazia e sensibilità rare».

Alessandra: «Ciò che lega il nostro linguaggio visivo sono le inquietudini, le atmosfere attaccate alla profondità intima del blu. Tecnicamente ci ha incuriosito molto sperimentare la fusione dei due differenti approcci personali: io da fotografa uso la carnalità del corpo nudo in modo pittorico ed evanescente, corrompendo la funzione realistica della fotografia. La pittura di Elisa passa dalla resa fotografica ai disegnini infantili, trasformando il tutto in una fiaba viscerale, surreale ma profondamente umana». 

Da dove nascono i vostri lavori? 

Elisa: «Ho iniziato a dipingere per mia egoistica urgenza, per provare a dare un senso a ciò che sta dentro e fuori di me. Solo dopo ho preso coscienza del fatto che il mio dolore è quello dello stare al mondo. Racconto di me, divento favola, mi vesto di poesia e i miei mostri assumono le sembianze di corvi beffardi vestiti a festa, i ricordi della mia infanzia riaffiorano nel loro linguaggio più autentico, quello dei disegni, degli album a quadretti, delle matite spuntate». 
Alessandra: «Ogni fotografia nasce da un’esperienza di dolore, passione o solitudine. La fotografia è la mia compagna di viaggio, dà voce ai miei silenzi, mi afferra durante le cadute. Nella fotografia luce e oscurità hanno lo stesso prezioso valore, mi ricordano sempre cosa sono e perché sono qui». 

Il titolo (In)conscia Veritas a cosa rimanda? 

Elisa: «La doppia chiave di lettura suggerita dalle parentesi sottolinea la dualità del progetto: la verità è nelle cose consce ma anche in quelle inconsce, in quel serbatoio di istinti, paure, pulsioni, mostri e visioni salvifiche che costituiscono la nostra parte più autentica».
Alessandra: «Spesso l’unica verità che ci appartiene si nasconde dentro il nostro inconscio».


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