Furia di Salman Rushdie

In un alienata New di York di inizio millennio, Malik Solanka, storico delle idee in pensione, divenuto famoso e ricco grazie alla sua passione per la fabbricazione delle bambole cerca conforto e tranquillità. Cosa spinge Solanka a scappare da una famiglia apparentemente perfetta e da un piccolo figlio che al telefono chiede sempre di lui?

“Non si sentiva a disagio tra queste moltitudini; al contrario. Nella folla c’era una soddisfacente anonimità, una specie di non ingerenza. Lì, a nessuno interessavano i suoi misteri…”

Ma cosa , nel profondo dell’animo di quel cinquantenne, ricco e colto, era scattato, al punto da fargli mollare tutto?  La risposta sta nel titolo del libro…una furia incontrollata, si era impadronita di Solanka; una notte, quando ancora viveva a Londra, si era trovato senza apparenti motivi sul capezzale del letto della moglie con un coltello in mano che penzolava sopra la testa della malcapitata coniuge. Avrebbe ucciso pure il figlio in quel preciso istante. Quel tradimento, troppo duro da raccontare, era stato la spinta definitiva verso la fuga. Convinto di poter placare quei rumori che tormentavano la sua mente. Ormai Solanka non sapeva più come riconciliarsi con una realtà, divenuta troppo artificiosa. Il successo della sua ultima bambola “Cervellino” era arrivato inaspettatamente. Ormai era diventato un oggetto di culto e non la sentiva più sua; si costruivano storie e storielle che lui non approvava, ma l’inettitudine e l’ingordigia umana, non sono riusciti a fargli rifiutare i milioni di dollari che annualmente i diritti d’autore di quella bambol fruttavano. Questo successo inspiegabile della bambola era divenuto insopportabile, come il “Costantino della De Filippi”, Cervellino presenziava tutti i più rinomati Talk show. Solanka a New York sperava di vivere nell’anonimato fin quando non si fosse liberato di quei diavoli che attanagliavano il suo più profondo “io”. Quelle furie che lo rendevano vulnerabile e allo stesso tempo pericoloso.

“aveva attraversato l’oceano per separare la sua vita dalla vita. Era venuto a cercare il silenzio e aveva trovato una rumorosità più grande di quella che si era lasciato alle spalle. Il rumore ormai era dentro di lui….”

Salman Rushdie, ha una penna fantastica. Molto ricercata e ricca di citazioni colte e non, che spesso può annoiare; ma proprio nel momento in cui stai per chiudere il libro assonnato, ti trovi d’avanti una frase che ti lascia di stucco, un osservazione arguta o una visione filosofica da strada che ti spalanca gli occhi sull’ipocrisia della società contemporanea “Un consiglio ai mariti, pensava amaramente: assicuratevi che la camera degli ospiti sia comoda, perché presto o tardi, belli miei, sarà la vostra…”. Non si nasconde dietro false maschere di ipocrisia e spiattella la sua verità in faccia a tutti. “La furia era nell’aria”.

A parer mio Salman Rushdie scrive in maniera brillante e non scade mai in banalissimi “già sentiti”,  poiché riesce a fondere la ricercatezza delle parole con la freneticità del linguaggio moderno; nonostante le sue abilità riconosciute da tutto il mondo, Rushdie non riesce a celare la nostalgia per il suo paese natale, quel paese da cui si è trovato costretto a scappare e in cui probabilmente non potrà mai più tornare, condannato a morte dall’ayatollah Khomenini per aver pubblicato i “versetti satanici”. Considerato dall’umanità un patrimonio vivente, Rushdie si trova costretto adesso a vivere in uno stato di semiclandestinità. Quando si dice la libertà di espressione…


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