Migranti, 385 persone e quattro salme al porto È stretta sul diritto di cronaca: «Nuove regole»

Lo sbarco di questa mattina al porto di Catania serve a fare le prove generali delle nuove regole. Mentre sull’ultima banchina dell’infrastruttura etnea, quella su cui affaccia il molo di Levante, vengono effettuate le operazioni di arrivo a terra di 385 persone di origine subsahariana e quattro salme, i giornalisti e le associazioni vengono allontanati. «Nuove disposizioni», dicono dalla prefettura, che coordina il servizio di accoglienza per conto del ministero dell’Interno. È così che a restare lontani dall’area dello sbarco sono i cronisti etnei, ma anche quelli delle testate internazionali che, con l’estate, arrivano nel capoluogo catanese per documentare l’arrivo dei migranti salvati dal mare. Quelli di oggi sono stati recuperati nel corso di tre diverse operazioni al largo del mar Mediterraneo. E, a nove ore di distanza dal loro arrivo in città, solo la metà hanno toccato terra.

La Topaz responder, la nave di Emergency e dell’associazione non governativa Moas, è approdata al cosiddetto «molo vecchio» intorno alle 7.30 di questa mattina. Prima che iniziassero le attività di sbarco, però, ci è voluta quasi un’ora. In quel frangente, mentre i migranti si preparavano a scendere dall’imbarcazione dove hanno trascorso gli ultimi giorni, gli organi di stampa sono stati allontanati. Così come gli attivisti per i diritti dei migranti. «La zona era recintata, come sempre – racconta Matteo Iannitti, leader del movimento Catania bene comune e componente della Rete antirazzista – Per osservare meglio abbiamo deciso di salire sul molo di Levante. Eravamo a distanza, non potevamo in alcun modo intralciare le attività di soccorso, salvataggio e polizia giudiziaria». A quel punto, però, sarebbero arrivate tre pattuglie delle forze dell’ordine. «Hanno intimato a tutti noi di rimuovere le attrezzature, comprese quelle dei cameramen, e di spostarci in un’area non meglio identificata».

«Di solito ci fanno stare ad alcune decine di metri di distanza, dietro alle transenne, ma abbastanza vicini per riuscire, con qualche sforzo, a parlare con i migranti». Stavolta, però, le cose sono andate diversamente. Lo spazio individuato per cronisti e attivisti era inizialmente ad alcune centinaia di metri dal luogo delle operazioni delle forze dell’ordine. E successivamente è stato spostato di nuovo, ancora un po’ più in là. Nonostante i diportisti e gli iscritti al circolo nautico potessero regolarmente transitare. «Noi lavoriamo in tutti i porti, abbiamo un accredito nazionale richiesto a Roma e questa è la prima volta che veniamo tenuti così distanti – racconta un giornalista – Ci hanno fatto rientrare solo dopo che avevano sbarcato le salme, spiegandoci che era una questione di sicurezza e che si attendeva il via libera da parte del ministero della Sanità». Un benestare che pare non fosse necessario per i proprietari delle imbarcazioni turistiche ormeggiate sulla stessa banchina dello sbarco.

Dalla prefettura fanno sapere che per i prossimi sbarchi la situazione dovrebbe rimanere la stessa. D’accordo con la questura etnea, la prassi prevederà di doversi accreditare con gli uffici governativi per andare a documentare l’arrivo sulla terraferma dei migranti scappati dai loro Paesi. Una procedura che non è ancora stata definita e che potrebbe essere necessario ripetere a ogni nuovo approdo. «Mi vogliono tenere qui pensando che io debba fare quattro scatti con l’iPhone – interviene un operatore spagnolo, collaboratore dell’Associated press, una delle più note agenzie di stampa internazionali – Sono tre ore che ci spostano a destra e a manca, noi lavoriamo con le più importanti testate del mondo». La situazione si sblocca solo con l’arrivo al porto del questore Marcello Cardona. Alcuni professionisti, che nel frattempo avevano ottenuto il lasciapassare dalla prefettura, vengono lasciati avvicinare. «Adesso ci hanno messi in un recinto», commenta lo spagnolo da dietro una barriera di transenne.

Ad alcuni metri di distanza, all’interno di un altro perimetro delimitato dalle barriere di ferro, i 385 migranti attendono di essere identificati. Sono seduti per terra, alcuni all’ombra e altri sotto il sole. Nella zona dove dovrebbero sorgere, dopo ferragosto, i nuovi tendoni destinati all’accoglienza. Hanno da poco ricevuto una busta con qualcosa da mangiare e da bere e sono in corso le procedure di identificazione. «Quello che sta avvenendo oggi è inaccettabile – aggiunge Matteo Iannitti – È una evidente limitazione della libertà di stampa e un oltraggio al diritto di cronaca». «Ci saremmo voluti informare su quanti uomini, quante donne, quanti bambini accompagnati e non – continua l’attivista – Ma non ci è stata data questa possibilità. Vorremmo sapere, considerata la gravissima situazione del cimitero di Catania, dove verranno trasferiti i corpi di chi è morto in mare. Vorremmo potere informare i richiedenti asilo dei loro diritti, ma non possiamo farlo. È ingiusto tenere lontane le associazioni, è intollerabile tenere lontani chi deve informare i cittadini». 


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