«Ancora un ultimo goccio». Il ritorno dei Massimo Volume

Emidio Clementi sul palco faceva sempre uno strano gesto. Toccava col palmo della mano la testa del microfono, poi con la stessa mano si sfiorava la fronte, e di nuovo il microfono. Una specie di segno della croce, un atto scaramantico, forse il tentativo di mettere in “comunicazione” pensieri e parole. Un gesto che non fa da ben sei anni, da quando, cioè, decise di chiudere la storia dei suoi Massimo Volume, senza preavviso. Anzi, forse qualche seme di end era stato piantato involontariamente. A quei tempi infatti, siamo nel 2002, la band veniva da un disco come Club Privè (prodotto da Manuel Agnelli) in cui si vedevano dei cambiamenti sostanziali nel modo di costruire canzoni da parte dei Massimo Volume. Mimì incise qualche pezzo cantando, “tradendo”, così, il suo proverbiale recitato. Egle Sommacal e Vittoria Burattini suonarono guidati da più spiccate ambizioni psichedeliche. I testi di Emidio si fecero più onirici, meno inchiodati sul reale di una vita randagia come era la sua nei primi anni ‘90. Forse anche il suo viaggio in India partecipò a fiaccare le vicende della band le cui tracce, a quel punto, si ebbero solo con la soundtrack di “Almost Blue” di Alex Infascelli.
 
I Massimo Volume si sciolsero, senza però fare scenate. Emidio si dedicò ai suoi libri e ai reading, Egle e Vittoria presero strade diverse. Gli anni di Bologna erano andati, così come i nineties, periodo d’oro del rock alternativo italiano. “Una scena”, come l’hanno definita i protagonisti che l’animarono: Afterhours, La Crus, Marlene Kuntz, Maroccolo e, naturalmente, i Massimo Volume che, di quel filotto, rappresentavano l’ala di più post (rock). Travolgenti arrangiature elettriche con protagonista assoluta la chitarra “mille volti” di Sommacal, assistita dal drumming secco, potente, pulito della massiccia Burattini. Lunghe serpentine sonore infettate di reale e spettrali atmosfere gonfie di nebbia. E poi quelle storie così plumbee, così livide, ma talmente emozionanti che erano gli spoken di Clementi. All’interno del canzoniere di Stanze (’92), Lungo i bordi (’95), Da qui (’97) e Club Privè (’98) si trova la sua vita triturata in frammenti. L’ascoltatore riordinava i pezzi, ricostruiva le storie, i luoghi, i volti che Mimì sparpagliava nelle canzoni. C’erano i racconti di strada, la precarietà, il senso oppressivo dato dalla solitudine, la città fredda e insensibile. C’erano i suoi miti che si facevano terrestri e piombavano sulle sue stanze vuote: il western di John Ford, il poeta italoamericano Emanuel Carnevali con l’esistenza da immigrato negli States, Jim Carroll che in “Wicked Gravity”, sparata dallo stereo del fratello di Mimì, cantava “mi sento come il tetto di una chiesa bombardata”. C’erano tanti altri “miti” da raccontare: Rigoni, Leo, Karen, Alessandro, Ronald, personaggi maledetti e normalissimi, proprio come Emidio. E poi i luoghi, Bologna appunto, ma anche la Svezia, l’infanzia a S.Benedetto, la notte confinata fuori dalle vetrate, una cantina da sgomberare, il quartiere delle puttane, Manhattan stampata s’un poster, la monotonia di una pizzeria d’asporto, il bordo della vasca da bagno, le pareti della stazione, la sala da pranzo di un albergo a ferragosto.
 
Per i Massimo Volume, dunque, anni di silenzio, dopo quel 2002. Anni in cui i fan si rassegnarono a scovare nelle canzoni sfumature proprio come si fa con un film visto e rivisto più volte. Il nuovo pubblico, invece, si fece una scorpacciata tutta d’un fiato dei quattro dischi sviluppando attorno alla band una sorta di mitologia. Quella dei Massimo Volume lo scorso luglio al Traffic di Torino, così, non è stata semplicemente una reunion, ma invece il collante tra due generazioni di pubblico divise da un passaggio di millennio. Mimì lo sa e lo sanno anche Egle e Vittoria, tanto che le setlist messe su finora nel tour del ritorno sono state un sunto perfetto della loro storia. Allo Zo, dunque si è sfogliato un album fotografico memorabile. Un “vizio” che tutti (vecchi e nuovi) si aspettavano di sgarrare almeno un’ultima volta, con almeno un’ultima boccata, un ultimo goccio. E quando Emidio Clementi da lassù sul palco è tornato a battezzarsi col suo microfono, allora vuol dire che la storia riprenderà da dove si era fermata. Finalmente, aggiungiamo noi.


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