Giarre, chiesto rinvio a giudizio per blocco dei treni «La protesta pro-ospedale riguarda tutta la città»

L’udienza preliminare è fissata per il 26 ottobre 2016. In un’aula del tribunale di Catania la giudice Gaetana Bernabò Distefano dovrà decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio avanzata dalla procura etnea nei confronti di 35 persone. Tutte accusate di interruzione di pubblico servizio perché – il 23 maggio 2015 – hanno protestato sui binari della stazione di Giarre, dopo il ritardo nei soccorsi che avrebbe portato alla morte della 52enne giarrese Maria Mercurio. Una manifestazione arrivata dopo lo smantellamento del pronto soccorso dell’ospedale della fascia ionica, e dopo almeno un altro caso di presunta malasanità legato all’assenza di un presidio per la gestione delle emergenze. «Era la protesta di un’intera comunità esasperata», ricorda Angelo La Rosa, uno degli indagati nonché portavoce del movimento in difesa dell’ospedale di Giarre.

È il 23 maggio 2015 quando Maria Mercurio, 52 anni, viene colta da un malore mentre si trovava in casa. La donna muore poco dopo. Una tragedia che secondo i parenti si poteva evitare. A causarla sarebbero stati i ritardi nei soccorsi e l’arrivo sul posto di un’ambulanza senza medico. La reazione dei familiari è violenta: i soccorritori vengono aggrediti e l’ambulanza del 118 danneggiata. Ma nel Comune costiero la misura ormai è colma: solo all’inizio di quel mese una donna, ricoverata nel reparto di Geriatria dell’ospedale, era morta dopo essersi sentita male: anche in quella circostanza, per i familiari, il medico sarebbe arrivato troppo tardi. Dopo la notizia della scomparsa di Mercurio, il paese scende in strada. «Ho lanciato un appello sui social, non mi aspettavo che arrivassero centinaia di persone – racconta La Rosa – Eravamo in piazza Duomo quando è arrivata la telefonata che qualcuno aveva occupato i binari della stazione, così siamo andati là in segno di solidarietà».

Cittadini, giornalisti, consiglieri comunali e attivisti vengono identificati dalle forze dell’ordine. «Erano in servizio alla stazione e hanno riconosciuto tutti – commenta l’attivista -. Io ho dato il mio documento spontaneamente, mi sembrava corretto. I treni, comunque, non li abbiamo fermati noi. Erano sui binari per la fermata programmata, noi tecnicamente non li abbiamo bloccati». I giarresi i cui documenti sono stati registrati dai carabinieri sono quelli che il prossimo 26 ottobre sapranno se dovranno affrontare un processo, come richiesto dai magistrati di Catania, o se verranno prosciolti. «Non nascondo un po’ di amarezza – continua Angelo La Rosa – mi sarei aspettato un po’ di solidarietà nel momento in cui abbiamo saputo di essere indagati e, addirittura, a rischio di rinvio a giudizio. Noi lo abbiamo fatto per portare all’attenzione di tutti un problema che riguarda l’intero comprensorio giarrese, non è una cosa che riguarda solo noi, è una cosa che riguarda tutti».

Un risultato, però, quella mobilitazione lo ha portato a casa. Il tavolo tecnico del 25 maggio 2015 tra l’allora assessora alla Sanità Lucia Borsellino e i sindaci del territorio etneo. Una conversazione alla quale, però, non è seguita la riapertura del punto di emergenza. «Da quel giorno a oggi continuiamo a contare le vittime – prosegue il portavoce -. Ce ne sono di dirette e indirette, alcune derivano dal sovraffollamento dei pronto soccorso di Acireale e TaorminaL’ultimo a essersene andato è Antonino Gulisano». Morto d’infarto dopo ore di attesa nella sala d’aspetto del reparto di emergenza acese. «Il contesto in cui stanno vivendo i 120mila cittadini di quest’area non può essere dimenticato», interviene Salvo Patanè, ex vicesindaco di Giarre nella giunta di Roberto Bonaccorsi e anche lui tra gli indagati. «Ho fiducia nella giustizia e nell’operato della magistratura – dichiara -. All’epoca la città stava vivendo un dramma, lo stesso che sta vivendo anche adesso. I pronto soccorso del circondario ormai sono ingestibili, da amministratore è emotivamente complicato stare a guardare senza poter fare niente».


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