Aggressione al V. Emanuele, azienda sarà parte civile «Operiamo nella paura, regna la legge della violenza»

La dottoressa Angela Strazzanti è stata aggredita durante il suo turno di lavoro al pronto soccorso del Vittorio Emanuele per non aver voluto modificare un referto medico. La sua storia è stata raccontata ieri mattina sulla nostra testata, ma la protagonista ha deciso di rinunciare all’anonimato e di esporsi per quella che considera una «battaglia di civiltà». E come primo passo ha voluto sottolineare l’immediata sensibilità da parte dei colleghi e della dirigenza medica nei confronti del suo caso. «C’è stata una grande disponibilità del primario, Giuseppe Carpinteri. Venuto a conoscenza del fatto si è scusato personalmente, offrendomi il suo pieno sostegno – spiega la professionista a MeridioNews – Mi ha detto che non ero da sola e di volermi aiutare. Anche Antonio Lazzara, direttore sanitario del Policlinico – continua Strazzanti – questa mattina ha voluto fare luce sull’assenza dei vigilantes e su questa situazione incresciosa». 

Sostegno ricevuto anche da parte di tutto il personale che, ogni giorno, lavora fianco a fianco all’interno dei locali di via Plebiscito. «Sono tutti stati molto carini – continua Strazzanti – anche perché si rendono conto che la struttura organizzativa che vige al Vittorio Emanuele non garantisce di fatto i medici e gli infermieri». Proprio un infermiere, la mattina successiva, ha aspettato che la dottoressa terminasse il turno per scortarla fino a casa, temendo una possibile ritorsione. «Non è la prima volta purtroppo, sono delle cose inaspettate – interviene il direttore Antonio Lazzara – Noi abbiamo messo a punto un sistema di vigilanza diretto all’esterno e all’interno, raddoppiato i vigilantes, però paradossalmente esistono dei momenti in cui è impossibile intervenire immediatamente. Come nel caso specifico – continua il direttore sanitario – dove l’aggressione è avvenuta all’interno di un ambulatorio. In cui i vigilantes non possono stare per ovvi motivi di privacy». 

Sull’assenza di un posto fisso di polizia il manager chiarisce di non essere responsabile, come azienda, della sospensione del servizio notturno. Una decisione che, a quanto pare, sarebbe stata presa dalla questura. «Il posto di polizia c’è, era anche presidiato la notte, ma ora non più – afferma Lazzara – La questura sulla base di disponibilità predispone i turni, e ora è garantito solo di giorno. Ma questo vale per tutti gli ospedali della provincia». Un dato confermato anche dalla questura etnea. «Noi siamo intervenuti subito – dicono dagli uffici di polizia – Abbiamo fatto quello che era nel nostro ruolo, vale a dire identificare le parti». In ogni caso, nell’eventuale procedimento a carico degli aggressori di Angela Strazzanti, «l’azienda ospedaliera si costituirà parte civile – annuncia Lazzara – Siamo e saremo sempre accanto ai colleghi». 

Una risposta, quella della direzione sanitaria, che soddisfa in parte Elisabetta Lombardo, operatrice del pronto soccorso e rappresentante del sindacato medico Anaao Assomed: «Prendiamo atto della buona volontà dell’azienda ma il nostro pronto soccorso non è come tutti gli altri. Si trova infatti in un contesto sociale particolare, con alto tasso di problematiche. Da noi vige la legge della violenza, gli utenti arrivano, pretendono e sono aggressivi con gli operatori, abbiamo bisogno di un poliziotto che sia fisso lì e non delle volanti che arrivano quando siamo belli stecchiti». «Di giorno è presente un poliziotto – continua la sindacalista – ma non fa pubblica sicurezza, non è adibito a difendere le persone ma solo a registrare da un punto di vista burocratico i pazienti agli arresti domiciliari. Una situazione assurda se pensate che, per esempio una nostra collega una volta è stata sbattuta contro il muro e che tutte le porte del reparto sono state sfondate». 

Per non parlare delle condizioni di paura e stress psicologico in cui lavora il personale sanitario e quello adibito alla sicurezza. «A volte gli stessi vigilantes hanno paura – continua Lombardo – Spesso veniamo avvertiti dall’esterno su chi sta venendo, se si tratta di qualche boss o di un criminale. Nel caso in questione – conclude – come medici vogliamo sapere come mai non è arrivata subito la polizia». Problemi che, oltre a influire sulla salute del personale, rallentano e inceppano sempre di più il servizio erogato dalla struttura. «Se quella notte fosse arrivato un paziente in pericolo di vita – racconta infine la dottoressa aggredita – non avrei potuto salvarlo perché impegnata a schivare i colpi della signora». «E questo è quello che da un punto di vista deontologico mi mortifica di più – conclude – Perché un medico deve prima di tutto essere pronto a salvare la vita della gente e non a difendersi».


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